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Il mar monstrorum di Piero 1/2Botta

Una piccola mostra allo spazio CityART di Milano per un giovane pittore che mi aveva già stregato a Giorni Felici e che meriterebbe più attenzione. Mi sono divertito a curarla e a scrivere un pezzullo che ne spiega il senso.

È una mostra in tre tempi e l’inizio è sulla strada. Le creature di Piero 1/2Botta si spiaggiano in un luogo singolare: un negozio che è in realtà una galleria, una galleria privata, che è in realtà uno spazio pubblico. Superato lo spaesamento solosnob, vien da chiedersi che città sarebbe Milano, se le sue periferie potessero contare su un luogo così ogni 10 isolati: su un leopardo di micro spazi ben curati e ben gestiti come questo, ordinati e puliti con amore e vissuti dal quartiere che dà loro aria e senso d’esistere. Arrivando da una traversa di viale Monza si entra in un cannocchiale prospettico che ha la galleria come punto di fuga e, avvicinandosi, si capisce immediatamente che la forza di questo spazio è la grande vetrina che le dà luce. Un rettangolo trasparente che mette a nudo gli spazi interni e la mostra che ospitano, un’impietosa e immediata radiografia che ha la forza di ributtare mostra e opere sulla strada.

1_La vetrina – Tra Varallo e Pittsburgh
Davanti e dietro la vetrina il visitatore trova la prima scheggia di questa mostra. Non occorreva scomodare Christo per presumere che l’apparente negazione di questo affascinante rapporto esterno-interno fosse la strada migliore per valorizzarlo. La vetrina è completamente oscurata da una pittura bianca stesa alla grossa come sulle vetrine in allestimento di qualche decennio fa: coperte per non rovinare la sorpresa della nuova collezione di lupetti e sottane. L’immagine creata in mostra nasce tra le sponde di due possibilità, ammirate, citate e non intraprese: no al buco da monovisione, sia esso firmato da San Carlo in una grata seicentesca del Sacro Monte di Varallo, o da Giovanni Frangi, in una delle varianti di View Master. Ma no anche alle vetrine allestite da Diane Lane in Lady Beware e impreziosite da due veneziane, montate all’esterno per trasformare ogni passante in un voyeur.

Solo i più pruriginosi sbirceranno, infatti, attraverso il monogramma dell’artista inciso nel bianco della porta a vetri. Anche i passanti più distratti saranno piuttosto attratti dal piccolo schermo posto al centro della vetrina, dove si anima un breve filmato – curato da Igor Borghi – che mostra l’artista al lavoro, in una creazione raccontata dalla prima all’ultima pennellata, e di cui il visitatore, finalmente entrato in galleria, troverà il risultato appeso sul retro dello schermo. La vetrina è bucata da un moto perpetuo: le immagini generano continuamente la propria creatura e il quadro, appena creato, si lascia risucchiare dalla propria genesi, che va in scena all’esterno.

2_Il grande mostro – Quegli occhi che tradiscono
Varcata la soglia monogrammata, in realtà, il visitatore sarà stato certamente calamitato dall’enorme mostro che occupa la parete di destra. È l’opera più vecchia tra quelle esposte – il cucciolo ha quattro anni – e nella sua riconoscibilità ci offre l’avvio a una lettura della mostra e del percorso dell’artista qui solo accennati.

Più velocemente che con il quadro-vetrina, il visitatore si renderà conto, allora, di essere attorniato da un’invasione di mostri, di cui questo non è certo il più terribile. Galleggiante in una sorta di liquido amniotico, uno scorticato cucciolo di balena getta un occhio alla serietà violenta della vita e immerge l’altro nella disarmata malinconia della carne. Complice il formato, la materia è stesa liquida e piatta lasciando al dettaglio l’emozione inaspettata. E non mi riferisco solo a quelle labbra carnose che emergono a stento, rassicurandoci che questo non è (ancora) un mostro carnivoro, ma a passaggi apparentemente minimali, come quel grumo di luna che s’ingemma, in alto a destra, nell’azzurro smosso da un colpo di coda già inerte. 

3_Due mostri e alcuni figli di carta – Due altari pagani per un sogno della ragione

La parete che fronteggia il Grande Mostro presenta uno scenario più proprio all’ultima produzione di 1/2Botta. Le creature emergono finalmente con la loro vitalità e sfacciatagine. Le fauci si sono aperte, sguaiate, doloranti o clamanti che siano, la materia si è fatta gravida e colante, smaltata e grumosa insieme. Sulla lunga parete, la grande colonna rettangolare disegna due campate: a ciascuna il suo altare pagano, a ogni altare la sua pala, a ogni pala il suo mostro. Non è più tempo di candele, al calore penserà questo nuovo paliotto contemporaneo: niente più che un grande e solido termosifone bianco. Il più imponente e maschile dei due mostri trasuda sopra di esso tutta la sua materia repellente, si lancia un occhio alle spalle e sembra deciso ad andarsene per invadere la città. Incede claudicante verso l’uscita e, ruttando o vomitando che sia, espelle piccoli mostri dell’inconscio. Dalla parte opposta, al fondo della parete, l’altare femminile è occupato da una perlacea e grottesca figura: un passo da sciantosa, proteso su una gamba piccola e pretenziosa insieme, non si nega neanche a una mostressa. Gli esseri su carta di sua pertinenza, certo frutto di un parto, sono ancora lì, pingui ma affamati e protesi: nessun nido a proteggerli, solo urla e bestemmie di una fame atavica e primaria da sfamare.

Il visitatore non si lasci ingannare: 1/2Botta non ha niente a che spartire con lo splatter dei fumetti. La vicinanza è solo apparente: nella bellezza materica delle sue opere si struttura tutta l’abilità di un artista che ha dimostrato di saper disegnare come Raffaello e che dal manga si è salvato grazie a una passione viscerale per l’arte antica, importante quanto le donne di De Kooning o le bocche di Bacon, nel percorrere la sua strada al raccontar di sé. Ci si chiederà chi siano questi mostri che animano l’immaginario dell’artista, cosa li abbia generati, quanto abbiano a che spartire con la sua sensibilità, il suo inconscio e le sue esperienze di vita vissuta. Sono risposte che stiamo cercando, che riemergono pian piano, nascoste tra le pieghe di mezze frasi semplici, lasciate cadere per distrazione da questo giovane e solare marchigiano, figlio di un macellaio…

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