Rinascimento ticinese. 1 La Pietà dei De Donati

Una delle più importanti proposte della mostra è la datazione di quest’opera tra il 1505 e il 1510, ossia circa dieci anni dopo la data sempre sostenuta dagli studiosi. Un decennio può sembrare un’inezia a 500 anni di distanza, ma per capire che non è così basta pensare che ad eseguire questa splendida ancona sono stati tre uomini che sono nati, hanno lavorato, vissuto, gioito, si sono disperati e consolati, probabilmente si sono sposati, hanno messo al mondo dei figli… in un ordine cronologico che è stato il loro, un ordine preciso e non un altro. La vita va in un senso e l’arte, che è cosa della vita e non delle idee, va in una direzione e non in due. Ecco, uno dei grandi insegnamenti di questa mostra, del metodo e lavorio scientifico che stanno alla base di mostre come queste, è proprio che, non solo le parole, ma anche le date sono importanti. Non foss’altro perché non amiamo a trent’anni come amavamo a venti. Si coglie così, per tornare alla nostra ancona, che l’opera segue, e non precede, un altro bellissimo Compianto dei De Donati, legato all’inizio della storia del Sacro Monte di Varallo e che quest’ancona è a ridosso dell’inizio della straordinaria epopea di Gaudenzio Ferrari al Sacro Monte. Si capisce allora, con queste coordinate, perché la trasposizione in scultura d’immagini che abbiamo in mente dipinte da Giovanni Bellini o da Mantegna diversi decenni prima, stia qui cercando un suo spazio lirico, uno spazio di teatralizzazione appunto, ma che ancora i conti non tornino. Gli angeli non urlano certo disperati e scuotono appena i loro boccoli per un canto che di straziante ha forse solo la stonatura. Quello che immaginiamo nell’aria a disturbare il sonno del “personaggio che fa Gesù” è un canto altrettanto lontano dalle virilità di una lauda medioevale e dalla verità di un madrigale del De Victoria. Maria però sembra staccarsi dal chiasso emotivo che la circonda; sembra far sul serio insomma e l’angelo che le regge il capo se n’è accorto. Incartocciata nelle sue vesti stringe a sé quel braccio senza vita, un arto freddo che le pesa sul cuore come un macinio – o un meteorite – che la fa piegare, al suolo, distrutta. Un fotogramma bellissimo, in una giostra di sentimenti non allineati, che apre la complessa cavalcata di un secolo che si sarebbe chiuso con l’epopea Carliana.

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