Rinascimento ticinese. 6 La Madonna di Del Maino

Isolata dal suo contesto originale, troneggia, o meglio, galleggia in mostra questa bellissima scultura di Giovanni Angelo Del Maino. Il soggetto è Maria, immaginata nel momento dello svenimento, quando, dopo la morte del Figlio in Croce, oltrepassato ogni limite sopportabile di dolore, la Vergine sta perdendo i sensi. L’attenzione dei curatori si è giustamente soffermata sul volto, al quale il Del Maino attribuisce i caratteri di uno svenimento languido, un po’ troppo partecipato, che sembra aver poco a che fare con il dolore. È innegabile che traspaia, tra le pieghe di questa smorfia, una sorta di piacere che può sembrare fuori luogo, soprattutto se confrontato con svenimenti mariani più fedeli all’umanità del personaggio raffigurato, opere in cui il dolore è più chiaramente determinato come sentimento dominante, se non esclusivo. Qui c’è indubbiamente una componente di piacere, sembrerebbe quasi fisico, che destabilizza noi osservatori contemporanei ma che dal fedele di cinque secoli fa, probabilmente, veniva letta con più immediata certezza quale prefigurazione della Resurrezione di Cristo. Ammettendo la nostra incapacità ad impegnarci con la necessaria chiarezza nella descrizione di un piacere tutto morale che si esprime nella sua fisicità, rinunciando a camminare sul crinale tra piacere e dolore, agitati dai travasi tra i due sentimenti, lasciamo che sia il visitatore a cercare la propria strada di coinvolgimento con questo capolavoro della scultura cinquecentesca, magari interrogandosi sul legame tra il piacere di Maria e l’estasi di altre Sante trafitte che sarebbero venute secoli dopo. La statua qui esposta è uno dei nove personaggi di un Compianto in attesa di essere restaurato in tutti i suoi elementi, affinché possa essere ricomposto a dovere. La Madonna è stata sottoposta ad un intervento che ne ha riscoperto e consolidato la cromia originaria, ma bisognerà attendere che qualcuno sostenga il restauro degli altri elementi perché venga riconquistata l’unitarietà del complesso e le statue tornino a toccarsi chiamandosi in gioco a vicenda. Ciò che comunque, per ora, non potrà essere ricomposto, salvo ritrovamenti fortuiti, è l’abbraccio tra Maria e il corpo del Figlio morto, originariamente postole sulle gambe, ma venduto a un antiquario prima del 1967. Obbligata anche lei ad attendere il ritorno di Cristo, Maria rimane lì, sospesa nel tempo, con le braccia per sempre alzate sopra il vuoto terribile del suo grembo, fatto, fin dalla notte dei tempi, per ospitare le ossa mortali del Salvatore. E non si tratta solo di un perfetto manifesto per una campagna a favore della salvaguardia del patrimonio artistico, depredato anche da chi dovrebbe difenderlo. In un tempo d’Avvento, Maria s’impone infatti con la sua fisicità, accentuata da quella gamba tesa che sembra spingere in un calcio quel piede calzato da uno stivale e si ribella ad una condizione che non le appartiene. Creata per essere luogo di totale pienezza e non di vuoto, ci fa partecipi di quella insopportabile mancanza, di quell’attesa, di quella necessità di pienezza che è anche la nostra, avvicinandosi ancor di più ad ognuno di noi.

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