La Resurrezione di Romanino è come una Bonarda

L’augurio per questa Pasqua è affidato all’immagine di questo “sbotasato” Cristo di provincia, dipinto da Gerolamo Romanino intorno al 1526 per la parrocchiale di Capriolo, borgo non lontano da Brescia. La storia che ci racconta questo Cristo un po’ imbolsito è quella di un uomo come tanti, rintuzzato dalla vita, sagomato da una muscolatura cresciuta irregolare, lontano dalle palestre ma non dai campi o dalle officine…

L’augurio per questa Pasqua è affidato all’immagine di questo Cristo di provincia, dipinto da Gerolamo Romanino intorno al 1526 per la parrocchiale di Capriolo, borgo non lontano da Brescia. È l’immagine di un Cristo meno bello ma più vero. Un Cristo che parla di verità in ogni poro della sua pelle. Certo potrà far storcere il naso a chi si è assueffatto, s’intenda senza colpe, al bello apollineo che il nostro tempo ci impone e lo ritiene ormai l’unica immagine possibile. Ma, a ben guardare, è un Cristo che ci racconta un’altra via al bello, la via della verità. Chi ha più probabilità di convincerci che la resurrezione esiste? L’apollo tizianesco così perfetto e irrimediabilmente distante, che della morte non mostra neanche un lontano ricordo o questo Cristo che si risveglia dalla morte con tanta naturalezza da avere ancora un occhio chiuso e l’altro a mezz’asta come capita a noi tutte le mattine? La storia che ci racconta questo Cristo un po’ imbolsito è quella di un uomo come tanti, rintuzzato dalla vita, sagomato da una muscolatura cresciuta irregolare, lontano dalle palestre ma non dai campi o dalle officine. Un Cristo più franco, del quale abbiamo meno paura a fidarci, dal quale accettiamo con maggior resa la benedizione, perché le pene che viene ad alleviare e redimere dimostra di averle vissute, se non fino al peccato, fino ad accarezzarne, accogliere ed abbracciarne almeno il lembo. È la storia di una rivincita che inizia nel 1522, quando a Brescia approda un polittico di Tiziano, realizzato per la chiesa dei Santi Nazaro e Celso. Venezia invade la provincia con il suo “guerriero” più blasonato e Brescia si mette in ginocchio davanti al genio. I pittori del tran tran bresciano ricevono uno di quei colpi dai quali, almeno al principio, non si sa come riprendersi. Romanino tiene botta, o almeno ci prova, ma gli occorrerà qualche anno per rispondere all’agguato, e lo farà proprio con questa tavola. È una risposta che, non a caso, viene dalla provincia della provincia veneziana: Romanino non gira intorno al problema e lo affronta a viso aperto, perché al centro del “Polittico Averoldi” di Tiziano c’è proprio una “Resurrezione”. Il pittore bresciano non ha paura ad appoggiarsi al disegno del grande pievano: il Cristo ne imita la posizione del corpo, ne ricalca la postura delle gambe, l’inclinazione della testa, anche i soldati in primo piano rendono omaggio al Vecellio, perfino l’alba, nelle due opere, si accende dallo stesso punto, eppure…

Eppure qui il Cristo è tornato a farsi carne, muscoli, grasso, uomo insomma, la barba, rasata il giusto, incornicia un volto arrossato dalle giornate nei campi e nessun gel o messinpiega sono riservati ai capelli che ricadono morbidi sulle spalle. Le gambe sono sì nella stessa posizione, ma in Tiziano poggiano senza alcun peso o pressione su una delle nuvole che striscia l’orizzonte; qui stanno sul solido marmo che Cristo ha appena divelto, scoperchiandolo non con un elegante gesto erculeo ma, vien da immaginare, con il solo alzare il grosso capo, con il solo prender coscienza del proprio ingombro spaziale, che è ingombro vitale…

È rassicurante che la Resurrezione faccia i conti con il peso corporeo e non solo con quello di un Cristo ben stazzato, ma della realtà tutta: quello dei soldati schiacciati al suolo e perfino dello stendardo, che in Tiziano è svolazzante e tormentato dal vento impetuoso che agita anche il perizoma di Gesù e qui partecipa del naturale peso delle cose, è attratto al suolo e, a scanso d’equivoci, ben affrancato al suo bastone. La Resurrezione non torna al cielo come il rimbalzo di un fulmine – sembra dirci Romanino – ma affiora dalla carne a forza della sua stessa solidità, con la stessa naturalezza con la quale una bottiglia di buona Bonarda spesso non riesce a trattenere l’euforia del suo vin giovane e precorre il bicchiere, inondando la tavola o, ancor prima, il pavimento della cantina.

Sì, perché se la “Resurrezione” di Tiziano è un rarissimo Champagne, un evento eccezionale e indimenticabile, provato una volta e destinato a cambiare tutto, a partire dalla nostra percezione del buono e di cosa sia la vera soddisfazione, quella di Romanino è un sorprendente vino da tavola, destinato a rinfrancarci, accompagnarci e stupirci tutti i giorni. Entrambe vere, sono due facce dell’arte, della vita e della Resurrezione.

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