A braccia stese: la Gravità di Marlene Dumas

L’opera con cui auguriamo buona Pasqua ai lettori è una tela dell’artista di origine sudafricana, naturalizzata olandese, Marlene Dumas. Sono molte le ragioni che ce lo hanno fatto scegliere: ragioni interne ed esterne a esso. La Dumas, infatti, non è un’artista minore rimasta legata a temi tradizionali, ma la pittrice vivente più pagata al mondo – si parla di centinaia di migliaia, in alcuni casi, milioni di franchi – e che non ha potuto evitare di affrontare, con molta serietà e diversi dipinti, il tema della Croce. È un segnale importante, perché per capire il nostro tempo e l’attualità della Crocifissione occorre confrontarsi con documenti attuali, oltre che straordinari, e questa bellissima Croce ha solo qualche mese. Tra le diverse Crocifissioni dell’artista, questa sembra perfetta per il giorno di mezzo che è il Sabato Santo, sospeso tra Morte e Resurrezione; in essa prende corpo, in modo più esplicito di ogni sua altra tela, una precisa consapevolezza dell’artista: “Penso che l’intera idea della Crocifissione abbia una doppia anima, perché Cristo nella storia della Bibbia ha accettato di dover morire, ma sapeva che sarebbe risorto… Anche in quanto madre, quando hai un bambino, ti confronti con qualcosa che non hai mai sperimentato prima: la paura che possa accadere qualcosa a tuo figlio. E non puoi affrontare la vita senza la consapevolezza di quello che succederà, quindi la sintesi di questi quadri è la sintesi per la vita. Anche fare un dipinto è un atto positivo per la vita, perché se non trovi un significato in nulla non puoi dipingere”. E in effetti, guardando questo quadro ci rendiamo conto che se a uno sguardo distratto può sembrare “solo” una Crocifissione dal taglio stranamente orizzontale, fin dal titolo, Gravità, ci suggerisce ben altro. La Dumas ha dato vita ad una nuova iconografia cristica e questo, credo, non succedeva da un po’.

Cristo è colto nell’atto di stendere le braccia sulla Croce e, nel farlo, trattiene sopra di sé il nero, la morte, il dolore, il nulla… liberando il mondo da esso. L’immagine drammatica di Cristo che ci libera dal male, che salva la vita dal nostro nulla e da quello che ci circonda, non aveva mai trovato un’immagine così sintetica, semplice e comprensibile anche da un bambino. È questa semplicità ad atterrirci. Dopo il Christus triumphans (quello bizantino che ha gli occhi aperti prefigurando la Resurrezione) e quello Patiens (non idealizzato e veramente morto), dopo le iconografie più spericolate come il Torchio mistico (dove la Croce si trasforma in un grande torchio da spremitura, per strizzare sangue dal povero corpo del Redentore) ecco una nuova, semplice ed efficace raffigurazione in cerca di un titolo sintetico. Ma c’è un altro dettaglio che colpisce. La divisione che Cristo crea tra il Bene e il Male, tra il nero e il bianco non è manichea. Perché, a ben guardare, il bianco non è bianco: è una fluorescenza di colori tenui, un’iride meraviglioso di toni e a creare quest’aurora boreale della realtà è proprio ciò che del male, del nero, Cristo lascia passare attraverso il suo corpo. Senza saperlo, l’artista ci ha regalato quest’immagine bellissima di un Cristo che con la sua morte è capace di far fiorire il nostro male, di ricreare la luce dalle tenebre, di vincere la morte con la vita, di trasformare il nostro nulla nel Suo tutto.

 

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