In principio fu la Biennale, il coraggio della Chiesa

L’approdo della Santa Sede in laguna con un suo padiglione alla Biennale d’arte vorrebbe avvenire in modo sommesso e quasi sperimentale”. È questa la chiave d’accesso al primo Padiglione Vaticano alla Biennale di Venezia. Un tentativo, insomma, o, come ha detto lo stesso Gianfranco Ravasi, “un seme, non già un albero grandioso”.

Solo uno sguardo miope e senza ragionevolezza può mettere in dubbio la necessità di riavvicinare il mondo dell’arte contemporanea e la Chiesa, prima ancora che per motivi liturgici, per motivi esistenziali, di entrambi. Gli stessi oltranzisti detrattori d’ogni esito contemporaneo in ambito ecclesiastico, devono am- mettere che un’alternativa al rifiuto e al ritiro nel passato, almeno teoricamente, c’è e si chiama dialogo. La Chiesa, storicamente, non ha mai avuto timore a sporcarsi le mani con il Contemporaneo, anche quando molto diverso dalla sua sensibilità, e per il cristiano è quasi naturale fare il primo passo. Essersi buttati, insomma, nella fossa del leone, la manifestazione artistica più importante del mondo, per gettare una corda, o tendere una mano a quel mondo e ai suoi protagonisti, vale ogni sforzo e chiede l’occhio benevolo da tributare ad ogni tentativo. Tanto più che quest’ultimo passo va inteso come il più ardito di un lungo cammino iniziato con il Concilio e ben illustrato dal passaggio di Ravasi riprodotto qui in pagina.

Non sappiamo come si sia arrivati alla conformazione definitiva del Padiglione, che ci arriva sostenuto da tre artisti: l’americano Lawrence Carroll, il fotografo ceco Josef Koudelka e lo Studio Azzurro dell’italiano Paolo Rosa, introdotti dall’opera del pittore romano Tano Festa (1938-1988) che, con le sue rivisitazioni di Michelangelo, fa da trait d’union tra la più grande tradizione delle commissioni ecclesiastiche, in particolare papali, e l’arte contemporanea. Certo i nomi che circolavano in questi anni di preparazione erano ben altri, Bill Viola, Anish Kapoor… Ma al di là dei retroscena immaginabili sugli invitati e i “declinanti”, nella scelta dei nomi certo hanno contato gli argini in cui si è voluto muoversi: da una parte “il rischio di proporre una vaga arte a soggetto spirituale che inclinasse verso la deriva di una sorta di religiosità alla New Age” e, dall’altra, la necessità di individuare “opere destinate esplicitamente al culto e, quindi, rispondenti ai canoni specifici della liturgia cattolica”. Nasce così la proposta di affidare agli artisti i primi 11 capitoli della Genesi e la suddivisione dei tre temi: la Creazione (Studio Azzurro), la Decreazione, ossia la violenza dell’uomo che maltratta ciò che Dio gli ha donato, compresa la sua vita, (Koudelka) e la Ri-creazione (Carroll). Titolo: In principio.

La mostra inaugura oggi e, visto che l’arte ha il brutto vizio di dover esser vista dal vero per essere raccontata e giudicata, ci limitiamo ad anticipare qualche immagine di chi ha raccolto la sfida. Del resto non vediamo l’ora di poter interagire con l’opera di Studio Azzurro in cui è il visitatore a far partire il racconto gestuale della Creazione, o di far nostro lo sguardo lucido e tagliente con cui Koudelka fotografa la compromissione, spesso violenta, dell’uomo con la terra. Certamente ci vorrà del tempo per sintonizzarsi con la delicata opera di Carroll, che usa il ghiaccio, le garze e rade luci elettriche per raccontarci del germoglio di una nuova nascita possibile… Ne varrà la pena. In ogni caso.

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