Da Londra a Roma 6. Il papa Benedetto XVI invita a casa sua gli artisti

Artisti di “Paesi, culture e religioni diverse, forse anche lontani da esperienze religiose, ma desiderosi di mantenere viva una comunicazione con la Chiesa cattolica e di non restringere gli orizzonti dell’esistenza alla mera materialità, ad una visione riduttiva e banalizzante”. Bastava, per essere della partita, avere l’attitudine a non ridurre le cose alla loro apparenza. Ma questo è implicito in ogni vero artista, per cui: eccoli tutti a casa propria, e a casa sua…

«La Bellezza che ferisce e ci strappa dalla rassegnazione»

Lo storico incontro di sabato scorso tra il Papa e gli artisti è frutto di un sano realismo: non si vive di passato e perché rimanga, o ritorni, una santa alleanza tra arte e Chiesa, occorre che questa amicizia sia «autentica e feconda, adeguata ai tempi e tenga conto delle situazioni e dei cambiamenti sociali e culturali». Perciò Benedetto XVI ha voluto artisti di «Paesi, culture e religioni diverse, forse anche lontani da esperienze religiose, ma desiderosi di mantenere viva una comunicazione con la Chiesa cattolica e di non restringere gli orizzonti dell’esistenza alla mera materialità, ad una visione riduttiva e banalizzante». Bastava, per essere della partita, avere l’attitudine a non ridurre le cose alla loro apparenza. Ma questo è implicito in ogni vero artista, per cui: eccoli tutti a casa propria, e a casa sua. Sì, perché averli convocati lì dove «ho vissuto con trepidazione e assoluta fiducia nel Signore, il momento indimenticabile della mia elezione a Successore dell’apostolo Pietro» è stato portarseli in casa, nel luogo più caro e decisivo, di fronte al Giudizio di Michelangelo (vedi box al centro), non solo dono più alto mai nato dall’incontro tra un Papa e un artista ma, per l’occasione, posto da Benedetto XVI come esemplificazione visiva del suo discorso: uno straordinario inno alla bellezza.

Un inno alla bellezza

Incentrando le sue parole sulla bellezza, il Papa scantona inutili discorsi sulla rappresentazione o meno di temi sacri e sull’ispirazione degli artisti a soggetti religiosi. Così facendo spiazza tutti, perché andando al cuore della vita, coglie ciò che veramente accomuna tutti i presenti, l’unico punto di fecondità possibile. Per riattivare la circolazione, usa le «espressioni davvero ardite» di Paolo VI, dichiarando tutto il suo amore per gli artisti: «Noi abbiamo bisogno di voi… Il Nostro ministero è quello di predicare e di rendere accessibile e comprensibile, anzi commovente, il mondo dello spirito, dell’invisibile, dell’ineffabile, di Dio. E in questa operazione… voi siete maestri… Se Noi mancassimo del vostro ausilio, il nostro ministero diventerebbe balbettante ed incerto e avrebbe bisogno di fare uno sforzo, diremmo, di diventare esso stesso artistico… di far coincidere il sacerdozio con l’arte». Gli artisti hanno avuto un contraccolpo: non sono abituati ad esser presi così sul serio e le unanimi reazioni positive dei presenti (vedi in quarta) lo confermano.

Ma perché l’uomo, e quindi la Chiesa che ne ha a cuore il destino, non può fare a meno, oggi più che mai, della bellezza? Perché, continua il Papa: «Il momento attuale è purtroppo segnato, oltre che da fenomeni negativi a livello sociale ed economico, anche da un affievolirsi della speranza, da una certa sfiducia nelle relazioni umane, per cui crescono i segni di rassegnazione, di aggressività, di disperazione. Che cosa può ridare entusiasmo e fiducia, che cosa può incoraggiare l’animo umano a ritrovare il cammino, ad alzare lo sguardo sull’orizzonte, a sognare una vita degna della sua vocazione se non la bellezza?».

La bellezza non è una fuga

La bellezza è necessaria «nella ricerca del senso e della felicità, perché – continua Benedetto – tale esperienza non allontana dalla realtà, ma, al contrario, porta ad un confronto serrato con il vissuto quotidiano, per liberarlo dall’oscurità e trasfigurarlo, per renderlo luminoso, bello… Una funzione essenziale della vera bellezza… consiste nel comunicare all’uomo una salutare “scossa”, che lo fa uscire da se stesso, lo strappa alla rassegnazione, all’accomodamento del quotidiano, lo fa anche soffrire, come un dardo che lo ferisce, ma proprio in questo modo lo “risveglia” aprendogli nuovamente gli occhi del cuore e della mente, mettendogli le ali, sospingendolo verso l’alto … La bellezza colpisce, ma proprio così richiama l’uomo al suo destino ultimo, lo rimette in marcia, lo riempie di nuova speranza, gli dona il coraggio di vivere fino in fondo il dono unico dell’esistenza. La ricerca della bellezza di cui parlo, evidentemente, non consiste in alcuna fuga nell’irrazionale o nel mero estetismo».

Ci ferisce ma per la felicità

È questo il punto centrale e straordinario del discorso, il punto sul quale ci auguriamo si possa tenere la barra in tutti gli azzardi possibili che vedrà la storia dell’arte a venire. Perché il Papa dimostra di disporre di una libertà massima, ben superiore a quella che si concedono normalmente molti cristiani, e non. Se l’artista è chiamato a dar voce ad una bellezza che dà la scossa, che ci strappa dall’accomodamento, che ci può anche far soffrire, che può ferirci, pur di rimetterci in marcia, verso la speranza e il coraggio di vivere, quanti artisti contemporanei andranno riabilitati, o almeno riconsiderati, per verificare se vi sia almeno un tentativo in questa direzione? E come saremo disposti a rapportarci di fronte a quegli artisti che magari riescono bene a ferirci, metterci in marcia, ma ci accompagnano solo fino alla soglia della speranza e del coraggio di vivere? E non apprezzeremo alcuni artisti, perché con le proprie opere denunciano la falsa bellezza stigmatizzata dal Papa come «illusoria e mendace, superficiale e abbagliante fino allo stordimento» che «invece di far uscire gli uomini da sé e aprirli ad orizzonti di vera libertà attirandoli verso l’alto, li imprigiona in se stessi e li rende ancor più schiavi, privi di speranza e di gioia»? Saremo disposti a cercare di capire se ci troviamo di fronte al volto «dell’oscenità, della trasgressione o della provocazione fine a se stessa» o ad una provocazione funzionale alla ferita?

Ci fa amare il quotidiano

Anche perché, per non rischiare di essere frainteso, per scongiurare ogni riduzione della bellezza ad un’immaginetta rassicurante, Benedetto rincara la dose: la bellezza può far paura. Citando von Balthasar e Gloria prosegue: «La bellezza non è più amata e custodita nemmeno dalla religione: …Chi, al suo nome, increspa al sorriso le labbra, giudicandola come il ninnolo esotico di un passato borghese, di costui si può essere sicuri che – segretamente o apertamente – non è più capace di pregare e, presto, nemmeno di amare». Al contrario, è la bellezza a metterci al lavoro: «L’autentica bellezza schiude il cuore umano alla nostalgia, al desiderio profondo di conoscere, di amare, di andare verso l’Altro, verso l’Oltre da sé. Se accettiamo che la bellezza ci tocchi intimamente, ci ferisca, ci apra gli occhi, allora riscopriamo la gioia della visione, della capacità di cogliere il senso profondo del nostro esistere, il Mistero di cui siamo parte e da cui possiamo attingere la pienezza, la felicità, la passione dell’impegno quotidiano».

Non temete la fede

Sparigliate le nostre quattro idee sulla bellezza, Benedetto può fare l’ultimo salto, perché l’artista «nel momento in cui si confronta con i grandi interrogativi dell’esistenza… ci conduce a cogliere il Tutto nel frammento, l’Infinito nel finito, Dio nella storia dell’umanità. Come scrive Simone Weil: “Il bello è la prova sperimentale che l’incarnazione è possibile. Per questo ogni arte di prim’ordine è, per sua essenza, religiosa”». Prima di un caldo «Arrivederci», il Papa spicca allora il suo accorato appello agli artisti, che ha concluso il discorso – di seguito riportato integralmente –, seguito da un fragoroso e lunghissimo applauso dei presenti. Una scintilla è scoccata e i cuori sono stati feriti.

Davanti al “Giudizio” di Michelangelo, Benedetto XVI

«Il Giudizio Universale, che campeggia alle mie spalle, ricorda che la storia dell’umanità è movimento ed ascensione, è inesausta tensione verso la pienezza, verso la felicità ultima, verso un orizzonte che sempre eccede il presente mentre lo attraversa. Nella sua drammaticità, però, questo affresco pone davanti ai nostri occhi anche il pericolo della caduta definitiva dell’uomo, minaccia che incombe sull’umanità quando si lascia sedurre dalle forze del male. L’affresco lancia perciò un forte grido profetico contro il male; contro ogni forma di ingiustizia. Ma per i credenti il Cristo risorto è la Via, la Verità e la Vita. Per chi fedelmente lo segue è la Porta che introduce in quel “faccia a faccia”, in quella visione di Dio da cui scaturisce senza più limitazioni la felicità piena e definitiva.» 

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