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Un dipinto inedito di Paolo De Matteis

Una pala d’altare approdata nella seconda metà del Novecento nella Chiesa di San Pietro, parrocchia dell’omonima frazione di Castelveccana (VA). Un’affascinante dipinto settecentesco, firmato e datato dal pittore napoletano. Una Madonna con il Bambino, San Giuseppe e San Giovannino, dipinta lo stesso anno della scomparsa del pittore: quasi un testamento.

TESTAMENTO NAPOLETANO NEL LUINESE: UNA PALA INEDITA DI PAOLO DE MATTEIS 

Come ogni milanese che si rispetti, mi capita di aderire al rito collettivo della gita fuori porta: una sorta di pellegrinaggio che, in file più o meno ordinate, spesso s’incanala verso i laghi, cari agli occhi e ai polmoni dei cittadini meneghini. Proprio risalendo il Lago Maggiore verso la Svizzera, entrando nella parrocchiale dei Santi Pietro e Paolo di Castelveccana, mi sono imbattuto in una Madonna col Bambino tra san Giovannino e San Giuseppe, una pala d’altare (191×148 cm) firmata e datata in basso a destra: “Paolus de Matteis f 1728”. Va subito precisato che della tela, in perfetto stato di conservazione, s’ignora a tutt’oggi la collocazione originaria; le uniche notizie di cui disponiamo riguardano le circostanze in seguito alle quali l’opera approdò a Castelveccana: acquistata sul mercato milanese, intorno al 1930, fu donata da Cecilia Albertoni a Nella Barassi, in occasione delle sue nozze, e dalla figlia di quest’ultima, nel 1981, venne legata alla parrocchia dove si trova tuttora.

Osservando il dipinto colpisce la figura maestosa di una donna dalla veste rosa antico e il manto azzurro che con la mano sinistra tiene un libro e con la destra controlla a stento il bambino, sportosi benedicente verso il basso, in direzione del san Giovannino; questo, inginocchiato e a mani giunte, lo fissa negli occhi. Dietro a Maria, un san Giuseppe dal manto giallo e veste grigio-blu regge un bastone fiorito e osserva la scena. I personaggi sono disposti lungo una diagonale che, suggerita dalle gambe del San Giovanni, ha il suo perno nella Madonna, prosegue nel torso scorciato del san Giuseppe, terminando idealmente nella sfera fiorita sul bastone.

Le figure così saldamente legate tra loro, come in una statuetta di Capodimonte, sono inserite in un contesto  formale:  un pavimento scorciato in modo prospettico e un cielo giallo con due coppie di testine alate. L’atmosfera algida che avvolge i personaggi sembra aver cristallizzato il volto della Vergine, ormai fattosi porcellana finissima, e gli abiti, quasi di cartapesta.

Se da almeno due decenni Paolo de Matteis, attivo in tutta Europa, è considerato uno dei più importanti pittori del Settecento napoletano, la critica è ormai concorde nel liquidare l’ultimo periodo della produzione del pittore come uno scadente epilogo caratterizzato da un’involuzione accademizzante.

Il De Matteis muore il 26 luglio 1728 e nei primi sette mesi di quell’anno dipinge due dei quattro dipinti di San Paolo d’Argon, due tele per la chiesa delle Anime del Purgatorio di Messina, oggi a Cassibile (collezione Loffredo) e la pala qui considerata. Se nelle tele bergamasche il classicismo dei personaggi in primo piano è stemperato dalla cifra giordanesca, evidente nella composizione e nelle più libere descrizioni degli sfondi, la siciliana Vocazione di San Matteo, che condivide con la nostra tela un colorismo piatto e freddo e schema compositivo classicista, non smentisce certo il giudizio consolidato sull’ultima produzione di Paolo.

Ciò che rende a mio avviso interessante questa tela è la possibilità di leggervi, proprio per gli elementi che la compongono e la data in cui è stata eseguita, una sorta di testamento figurativo del pittore che, nell’apparente rinnegamento di uno stile per il quale era diventato celebre in Europa, ripercorre, fosse solo per escluderle, le tappe di un itinerario figurativo lungo una vita. Mi piace immaginare il De Matteis, qualche mese prima di morire, di fronte alla sua ultima commissione, costretto a rispolverare il baule della memoria, per trarne le poche cose adeguate a quell’ultimo, estremo viaggio. E’ come se lo vedessi, seduto di fronte alla tela ancora bianca a pensare: “I drappi svolazzanti delle Galatee non saprei dove metterli, che farsene, ora, della pioggia di monete d’oro della splendida Danae. Non è più tempo di folle che fluttuano nei cieli, quattro testine alate saranno sufficienti a ricordare che è scena sacra e che lei è la Vergine.

Ecco, piuttosto quei sandali già calzati da Rinaldo saranno utili a Maria e Giuseppe (prima o poi anche loro si dovranno alzare per andare in Egitto), la luce del sole che irradiava abbagliante dalla testa di Apollo, sarà meglio smorzarla un poco: traspaia più discreta intorno al capo della Madre e il bastone con la sfera germogliata di fiorellini bianchi? Sì, mi è sempre piaciuto, per il san Giovannino userò quello del ’94, ah quel cuscino su cui si era inginocchiato Totila andrà bene sotto i piedi di Lei, dovrei aver preso tutto, si parte!”.

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