L’Oratorio di Campo Vallemaggia

Giovanni Battista I, Michele II, Giovanni Antonio, Giovanni Pietro, Giovanni Battista III, Paolo, Martino, Michelangelo, Gabriele e ora Mario, Franco, Gisella, Beatrice…

A scorrere il volume dedicato all’Oratorio di San Giovanni Battista a Campo Vallemaggia, si ha la sensazione di aprire la porta di una casa privata, lasciata socchiusa non per distrazione ma volutamente, perchè qualcuno ne venga accolto e coinvolto. La storia dell’Oratorio e quella della famiglia Pedrazzini sono legate infatti in modo indissolubile e raccontare la vicenda dell’uno significa veder scorrere la vita dell’altra. Non solo perché spetta a Giovanni Battista, nel 1749, aver fatto costruire questo piccolo ma elegante luogo di fede, in cui gli affreschi di Giuseppe Mattia Borgnis completarono in pochi mesi la sobria architettura valligiana. Ma soprattutto perché spetta alla cura dei Pedrazzini se l’Oratorio è arrivato sostanzialmente integro fino ad oggi.

Non mancarono certo anni di “sbandamento” in cui le vicende familiari, legate alle attività mercantili all’estero, fecero talvolta trascurare il paese natio, ma la storia recente di questo luogo segna una pagina esemplare che ripaga in toto queste dimenticanze e che vale la pena di additare ad esempio, affinché venga seguito da tante famiglie ticinesi. Certo un ruolo trainante deve averlo avuto Mario, che cura il volume e ci introduce nelle vicende storiche, ma la collaborazione di altri membri della famiglia nella stesura del catalogo e nella realizzazione di quanto lo ha preceduto restituisce un’immagine corale di responsabilità verso il patrimonio artistico.

Quanti oratori, cappelle, vie crucis vengono lasciate andare in pezzi dall’incuria dei proprietari? Quante perdite nel tessuto sociale e di fede deve sopportare, anno dopo anno, anche il Canton Ticino? Ricordo ancora il contrasto stridente di cui fui testimone l’estate scorsa, scorgendo, tra la bellissima vegetazione vicino alla cascata di Rossura, il cumulo di macerie a cui era ridotta una piccola cappella, testimonianza artisticamente minore, ma certo un tempo importante come e più di una cattedrale, per coloro che vi avevano affidato le proprie speranze. Perché, come non manca di sottolineare lo stesso Mario, concludendo l’introduzione al volume, questi piccoli gioielli «sono, sì, testimoni di arte e storia, ma anzitutto – e lo resteranno – di fede». Quanta cura nasce allora dall’attenzione alle proprie radici! Questo volume fa quasi tenerezza nell’attenzione che dimostra ad ogni dettaglio: dall’affresco al campanile, dal crocifisso al paliotto, dalla lampada al messale, dal restauro all’illuminazione… tutto va curato. E allora si perdonerà qualche refuso di troppo o imprecisione del volume, alla quale potrà porre rimedio uno studio critico più rigoroso, auspicato dagli stessi curatori. Un articolo che potrebbe essere affidato ad una studiosa di chiara competenza come la ticinese Federica Bianchi, magari a conclusione del restauro dei dipinti su tela che, almeno nel caso del bel Ritratto del Canonico Giovanni Antonio, vicino alla ritrattistica cerutiana degli Orelli, è senz’altro auspicabile.

È un augurio che facciamo alla Fondazione ecclesiastica che ora si prende cura dell’Oratorio, insieme a quello, ovviamente, di essere presto imitata. All’apertura dell’estate, consigliamo invece a tutti una gita a Campo Vallemaggia per visitarne il gioiello e ritornare così al proprio borgo o città, con la voglia di rimboccarsi le maniche per la propria famiglia o il proprio paese, dove, senz’altro, c’è un altro oratorio, cappella o affresco di cui prendersi cura.

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