Mario Botta e il Monte Tamaro

Un giorno un giovane frate, rivolgendosi al suo anziano confessore, disse: «Padre, posso chiederle una cosa?». «Ma senz’altro, sono qui per te figliolo», rispose premuroso. «È lecito fumare mentre si prega?». «Ma figlio mio, no di certo! Non è lecito»… Dopo poco il giovane frate, pensieroso, riprese coraggio: «Ma padre, è lecito pregare mentre si fuma?». «Ma certo figlio mio! Lo sai bene, si può sempre pregare!». Da pochi giorni è giunta la conferma che la parrocchia di Terranuova Bracciolini, comune in provincia di Arezzo, ha affidato a Mario Botta la progettazione di una nuova chiesa. Naturale, per tutti noi e per gran parte dei nostri lettori, che la notizia faccia ripensare alle chiese del celebre architetto svizzero, ed è altrettanto prevedibile il rinverdirsi della divisione tra entusiasti e scandalizzati. Da parte nostra, non potendo affrontare nel suo complesso il tema del “Botta sacro”, ci limitiamo a rinfrescare le memorie con il sommario visivo composto qui sotto. Cogliamo invece l’occasione per invitare tutti a ri-visitare Santa Maria degli Angeli al Monte Tamaro. Il silenzio del luogo, la vista meravigliosa, la perfetta integrazione dell’edificio alla montagna, il difficilissimo, ma riuscito, equilibrio tra la necessità dell’uomo di dominare la natura e la constatazione necessaria della propria piccolezza verso di essa, l’assoluta modernità con cui gli spazi sono plasmati dentro materiali senza tempo, le citazioni azteche, la sicurezza del porfido che avvolto a linee e volumi si lascia trapuntare dalla leggerezza della luce… La cappella è un coacervo ricchissimo di suggestioni e tutta la sua storia parla di un’opera eccezionale, che sembra squisitamente portare altri tempi in questi. Voluta da un privato che chiedeva un visibile segno cristiano anche per il suo monte, fu dedicata a Maria e, durante la costruzione, in seguito alla scomparsa di Mariangela, moglie del committente, trovò la sua intitolazione a Santa Maria degli Angeli. La scelta di affidarne la progettazione a Botta, proprio mentre a Mogno infuriavano le polemiche, fu forse spregiudicata, ma di coraggio ce n’è molto in questa chiesa. Non stupisce infatti che la mancanza, o meglio trasformazione, di molti elementi tradizionali abbia sconcertato più di qualcuno, occorrerà tuttavia guardare a questi elementi, non come frutto dei capricci di un architetto ma cogliendone la forza espressiva, la capacità di portare sul monte una tradizione lunghissima ed eterogenea, piegata al fulcro sacro a cui tutto nella chiesa tende. Il lungo corridoio che porta al corpo centrale e circolare della chiesa, per esempio, assolve mirabilmente al compito di raccordo con l’arrivo della funivia, ma aiuta il fedele ad avvicinarsi alla chiesa con un’aspettativa, lo prepara a entrare in un luogo che non può essere visitato come il bar poco distante. È un percorso di concentrazione che si carica di tensione, anche grazie all’inizio del piano decorativo-iconografico realizzato dal pittore della Transavanguardia Enzo Cucchi. Percorsa questa sorta di navata d’avvicinamento, la cappella sorprende per equilibrio e rigore. Il fedele, non è abbandonato e, varcata la soglia, le pareti nere, il continuum della decorazione sul soffitto già presente nel corridoio, il susseguirsi delle formelle decorate dallo stesso Cucchi e chiarificate dalle invocazioni alla Madonna soprascritte… Tutto aiuta il visitatore a guardare il fulcro della chiesa: quelle grandi mani che lo accolgono. Sono le mani di Maria, segnate dalla croce, ma enormemente più grandi di quella, capaci di contenere, nella loro grandezza, il fedele che vorrà abbandonarsi a Lei. Botta sa bene che la stessa luce può abbagliare o illuminare e decide di farla filtrare con discrezione, sulla volta, e con decisione, nei punti chiave ai quali guardare. Una semplice statua della Madonna in una rettangolare chiesa di marmo e intonaco bianco avrebbe avuto lo stesso effetto? Forse per alcuni sì, ma per la mia generazione, per i nostri tempi, per coloro che affannati dai divertentissimi giochi dell’Alpe Foppa, s’imbatteranno in questo “strano” edificio non si riesce ad immaginare soluzione più adeguata e straordinaria, nella sua capacità di “ordinare” la visita a Colei che si potrà incontrare. È una chiesa che aiuta la preghiera? Io credo di sì, ma non penso sia questo il punto. Il problema dell’architettura moderna non è che produce brutte chiese, ma che produce, spesso, brutti edifici, qualunque ne sia l’uso. Un buon architetto fa edifici belli, di grazia e di utilità: il suo compito è fare un buon lavoro, piegando la bellezza all’esigenza d’uso del luogo che costruisce. È qui si ferma, impotente, passando la mano a ognuno di noi. E poi, mi si permetta, se la nostra preoccupazione fosse riempire, ispirati dalle più adeguate architetture, decine di chiese delle più sincere preghiere, chi ci perdonerebbe di averne svuotato il mondo?

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