Due Spartaco al Museo Vela

Abbagliante bianco di pareti e gessi

Quanto bianco! Vi è mai capitato di trovarvi all’improvviso in una stanza buia? All’inizio non si vede nulla, poi l’occhio s’abitua e cominci a riconoscere forme e oggetti. Entrando al Museo Vela di Ligornetto si prova un’esperienza simile e opposta. Sarà stata la bella giornata e l’ora postprandiana, ma entrando nella prima sala sono stato sommerso dalla dominante e avvolgente luce bianca riflessa da gessi e pareti. Ci è voluto qualche secondo per accorgersi di essere entrato in uno dei musei più affascinanti della Svizzera.

Il pregio più grande del Vela sta nella raccolta dei gessi preparatori di Vincenzo Vela (1820-1891), grande scultore dell’Ottocento che, com’era consuetudine, per arrivare alla versione definitiva in marmo o bronzo delle proprie opere, eseguiva un modello in gesso, nel suo caso a grandezza naturale e curato nei minimi dettagli. Raccolti insieme, i gessi ci danno la possibilità di apprezzare pressoché tutta l’opera dell’artista e coglierne evoluzione e grandezza. Vincenzo, all’apice della sua carriera e memore delle gipsoteche (musei di statue in gesso) che erano state da poco realizzate alla morte di altri due importantissimi scultori, Antonio Canova (1757-1822) e Bertel Thorvaldsen (1770-1844), decise di portarsi avanti sulla dipartita e fece costruire (1865) una splendida casa museo nel paese natale, appositamente progettata intorno ad un trionfale spazio espositivo per i suoi gessi: la grande stanza ottagonale che prese presto il nome di “Pantheon”.

Due anni dopo, trasferitosi definitivamente nella villa, proseguì la sua attività nel laboratorio attiguo, continuando ad arricchire di gessi il Pantheon, ormai divenuto un’attrattiva pubblica, grazie ai celebri Garibaldi, Camillo Benso di Cavour, Napoleone morente… Nei primi anni Ottanta il Pantheon è di fatto un museo privato con tanto di casello per il custode e catalogo. Il sigillo definitivo al “sacrario” venne posto però con la morte di Vincenzo (1891), quando venne allestita la camera ardente da lui progettata nei minimi dettagli: al centro dell’ottagono e ai piedi dell’enorme Monumento equestre a Carlo II di Brunswick (1873-78) venne posta la salma, vigilata dal suo Ecce Homo sormontato da una corona di palme e corredata da medaglie e strumenti di lavoro, posti ai suoi piedi. Quanto Ottocento si impara al Museo Vela! Quanto si può capire della storia italiana ed europea, fatta di volti e persone precise, quanto comprendere dell’idea romantica dell’artista.

Il Museo che si presenta oggi al visitatore è un luogo molto diverso da quello pensato da Vincenzo. Donato alla Confederazione dal figlio Spartaco, venne aperto ufficialmente pochi anni dopo (1898) e, dopo un secolo di fortune alterne, ha riaperto al pubblico nella nuova veste progettata da Mario Botta (2001). L’allestimento ideato dal celebre architetto è di quelli senza compromessi, che non permettono reazioni tiepide: prendere o lasciare. Nessuna concessione al caldo del legno, nessuna indulgenza per stoffe o atmosfere velate, solo putrelle a vista e pianali rettangolari dipinti di bianco, rigore assoluto che, malgrado l’assenza di una significativa variazione di tinta tra le pareti e le statue, permette una buona visibilità e godibilità delle opere. In questa chiave è stato interpretato anche il celebre Pantheon che, rispetto alle fotografie e i disegni pervenutici, è stato sfoltito da molte statue, razionalmente disposte nelle stanze adiacenti. Chi sentisse nostalgia dell’atmosfera del bisnonno, in cui del resto le opere d’arte sono state create, coglierà il forte contrasto tra un’ambientazione quasi neoclassica e i gessi esposti: così realistici e carichi di vita, totalmente insorgenti nella loro verità, in alcuni trattenuta in altri incontenibile. Si potrebbe dire che ad andare in scena siano insomma le opere e non l’artista. Ad onor del vero l’assenza totale di quella patina di vecchiume polveroso che accompagna, vera o percepita, molte gipsoteche contribuisce a far di questo luogo una realtà viva, con tutto l’appeal di un museo “moderno”, dalla fervente attività, ricco di materiale didattico per il visitatore, promotore di mostre e di una neonata rivista di scultura, frequentato da bambini ai quali sono riservati percorsi ad hoc e numerose iniziative. Un luogo vivo insomma, cosa assai rara per una casa-museo dell’Ottocento.

Quello straordinario Spartaco rimanga al Museo Vela (per ora)

Spartaco vs Spartaco. È un’occasione unica quella da cogliere al Museo Vela di Ligornetto fino al 2 ottobre. L’importante statua raffigurante il celebre gladiatore ribelle, Spartaco, scolpita dallo scultore ticinese Vincenzo Vela intorno al 1848 e divenuta subito simbolo della rivolta di ogni popolo dall’oppressione straniera, fronteggia nella stessa stanza il suo gesso preparatorio: un altro Spartaco in tutto e per tutto simile a lui. Data la particolare postura del personaggio, tutto proteso in avanti, e la possibilità di potersi porre al centro di questo incontro-scontro, l’esperienza è esaltante. Si potrebbe scrivere un trattato di filosofia, o psichiatria: la ribellione nella ribellione, il modello sembra ribellarsi al compimento di sé stesso, il vile gesso è pronto ad attaccare il nobile marmo e, proprio come Spartaco, destinato a perdere. Fermi lì, con la testa in su rivolta ai due volti ingrugniti, in attesa di chi farà la prima mossa di un attacco imminente e impossibile, si capisce presto che la vera lotta è quella con la materia e che il vincitore è il bravissimo Vela, capace di rompere ogni schema compositivo con la verità di ogni suo soggetto. Spartaco nasce in un momento di grande fama per lo scultore, in cui Vincenzo si trova a dover dimostrare la propria capacità nell’affrontare il genere del “nudo eroico”. L’abilità dimostrata sovverte lo stesso genere: la ribellione di Spartaco diventa tutt’uno con la ribellione da un canone classico. Rimasto impressionato dalla visione del gesso preparatorio, il conte milanese Antonio Litta ne commissionò la realizzazione in marmo che pose nel suo splendido Palazzo di Corso Magenta a Milano. Raccolta l’ammirazione collettiva a Brera e all’Esposizione Universale di Parigi (1855), nel 1872 la statua iniziò a girare l’Europa: venduta dagli eredi del conte, approdò al Castello di Trevano e da lì a San Pietroburgo, dove venne acquistata per una cifra astronomica dall’attuale proprietario, la Fondazione Gottfried Keller, che la fece riportare in Svizzera. La Fondazione si dimostrò fin da subito molto attenta alla destinazione definitiva dell’opera, tanto che, malgrado la comunità luganese la richiedesse fin da subito, in mancanza di un’ipotesi di collocazione ritenuta adeguata, l’opera venne affidata al Museo d’arte di Berna e, dopo pochi anni, al Museo d’Arte e Storia di Ginevra. Solo nel 1937 arrivò in Ticino, tornando al Castello di Trevano, dove attese la fine della Seconda Guerra Mondiale. Il 12 maggio 1945 la decisione: modificato l’ingresso del Palazzo Civico di Lugano, Spartaco avrebbe trovato la sua collocazione “definitiva” sotto le volte del portico, sulla sinistra, dove rimase fino a oggi. E qui arriva il punto: la sistemazione al Palazzo Civico non ha mai convinto e, fin da quel 1945, fu considerata la “meno peggio” di quelle prospettate. Prima di riportarla sotto il loggiato del Palazzo Civico, perché non cogliere l’occasione per riaprire il dibattito su una collocazione più adeguata e “importante” per un capolavoro del genere? Dov’è ora, al Museo Vela, non potrebbe essere più al sicuro e ci sarebbe tutto il tempo per ponderare una decisione. Ci rivolgiamo a tutti coloro che sono parte in causa per proprietà e competenza.

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