Factum est: Giovanni Testori a Ravecchia

Factum est non è un monologo sull’aborto: è un monologo sulla vita… Il mio testo non riguarda la legge, bensì l’inevitabilità e la dolcezza del venire al mondo, del diritto di crescere e di essere, della vita, insomma. Indico naturalmente una ferita, dentro cui sta la verità prima da cui discendono tutte le altre”.

Correva l’anno 1981 e Giovanni Testori rispondeva così a chi voleva vedere nel suo monologo, messo in scena in quei giorni dal giovane Andrea Soffiantini, un manifesto poetico scritto per sostenere il referendum che tentava, in vano, di abolire la legge italiana introdotta per regolamentare l’interruzione di gravidanza. Non ci sarebbe stato niente di strano e tutto faceva pensare che non si trattasse di una coincidenza, ma la genesi dell’opera, raccontata dal protagonista e riportata su queste pagine da Margherita Saltamacchia, dimostra bene che Testori non partiva mai da un’idea, da una tesi, ma sempre da un accaduto umano: “Quando gli chiesi come comunicare attraverso il mestiere del teatro la vita, quando a me non usciva che un balbettio… non mi rispose; si girò verso di me, mi guardò per qualche istante, poi si allontanò portato via dalla scala mobile… (eravamo al settimo piano della Rinascente a Milano). Dopo solo una settimana avevo già le prime pagine di un suo testo teatrale scritto per me e che iniziava con un balbettio”.

Un balbettio fatto di suoni inizialmente incomprensibili, ma che, man mano, danno vita a una delle opere più toccanti mai scritte da Testori; basta qualche manciata di sillabe sconnesse e la voce di Soffiantini entra immediatamente in sintonia con lo spettatore che, progressivamente, straniato, turbato e attratto, viene raccolto e trasportato lungo una breve storia in 14 stazioni, narrata in prima persona da un bambino nel grembo di sua madre, costretto a conquistare il dono della parola, per convincere i propri genitori a non rinunciare a lui. Un attacco straordinario in cui lo scrittore ci mostra il momento esatto della creazione, che è insieme nascita di una nuova vita, ma anche atto di formazione della parola stessa.

Perché Factum est non è solo una storia toccante che fa pensare al miracolo della vita, ma è una sorta di manifesto teatrale in atto per Testori. Per lui la ragione di essere drammaturgo, la ragione stessa per cui il teatro valeva la pena esistesse era la possibilità di dare carne alla parola e parola alla carne. Il dramma teatrale, andando in scena, aveva la potenza della creazione, perché “Verbum caro factum est”: come nell’inizio della Bibbia, è nella parola, nel Verbo, che ha origine il mondo, che ha origine l’incarnazione. Per questo, nell’opera di Testori, almeno dalla fine degli anni Settanta, la scenografia viene praticamente annullata e la forma usata è quasi sempre il monologo. Sta tutto lì. Nella parola. Nell’incarnazione della parola, che è incarnazione della vita, che dà voce alla vita. È una responsabilità alta, quella che Testori affida al teatro, ed è la sola ragione per cui né televisione, né cinema o internet potranno mai eliminare la necessità della messa in scena teatrale.

Ma questo senso assoluto, sacro, del gesto teatrale ha bisogno di perpetuarsi, deve dimostrare la sua verità ogni sera, quando si apre il sipario.

Lo spettacolo che va in scena domani a Ravecchia è imperdibile perchè sarà lì dove è destinato a riaccadere il miracolo della nascita della vita e della nascita del teatro. È un’incarnazione che si perpetua da oltre trent’anni immutata, eppure è sempre appena sorta, grazie all’attore che porta in giro questo spettacolo cucitogli addosso come il più caro degli attributi, come fosse ormai una sua dote fisica, come fosse un caratteristico profilo del naso o il colore degli occhi; ma è un attributo sostanziale, al quale non ci si può abituare, che non si può dimenticare. Perché il teatro non è un film mandato in loop. Il teatro è vita che accade ogni sera, una vita di cui noi spettatori siamo parte ineliminabile e che è destinata a cambiarci, impercettibilmente e inesorabilmente.

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