Rembrandt fece il ritratto a Gesù

Eh sì che Dio era stato chiaro: “Ma tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo” e, tre versetti dopo: “Poi toglierò la mano e vedrai le mie spalle, ma il mio volto non lo si può vedere”. Eppure… eppure tutta la Bibbia è colma di richieste del popolo d’Israele di vedere il volto di Dio: «Fino a quando, Signore, continuerai a dimenticarmi? Fino a quando mi nasconderai il tuo volto?… Ecco la generazione che lo cerca, che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe… Di te ha detto il mio cuore: “Cercate il suo volto” il tuo volto, Signore, io cerco… Non nascondermi il tuo volto, non respingere con ira il tuo servo… Fa splendere il tuo volto sul tuo servo… L’anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente: quando verrò e vedrò il volto di Dio?… Dio abbia pietà di noi e ci benedica, su di noi faccia splendere il suo volto… Non nascondere il volto al tuo servo, sono in pericolo: presto, rispondimi… Rialzaci, Signore, nostro Dio, fa splendere il tuo volto e noi saremo salvi… Non nascondermi il tuo volto; nel giorno della mia angoscia piega verso di me l’orecchio. Quando ti invoco: presto, rispondimi…. Non nascondermi il tuo volto, perché non sia come chi scende nella fossa… O Signore, fa risplendere il tuo volto sopra il tuo santuario, che è desolato».

Che per il popolo d’Israele la presenza e l’aiuto di Dio si esprimessero con la possibilità di vederne il volto è certamente sorprendente, e dovette colpire lo stesso Rembrandt (1606- 1669), uno dei più grandi pittori del Seicento europeo, protestante, grande conoscitore della Bibbia e frequentatore, fin dagli anni Trenta, della comunità ebraica di Amsterdam. La mostra in corso al Louvre (fino al 18 luglio) riporta alla luce una storia dimenticata, se non deliberatamente nascosta dalla critica. Una storia semplice, di per sé, ma proprio per questo disarmante. Rembrandt dedicò molte delle sue opere a scene evangeliche, tanto che alcune sono entrate nell’immaginario collettivo come “le” immagini di quei determinati episodi, basti pensare al Figliol prodigo o alla Cena in Emmaus, conservata proprio al Louvre e posta al culmine della mostra. Ad un’altra, meno nota, Cena in Emmaus è affidata l’apertura dell’esposizione. Si tratta di un vero e proprio gioiello, per metà inghiottito dall’ombra e per questo irriproducibile, ma straordinario colpo d’inizio dell’esposizione, che si apre così sulla sedia che il discepolo fa saltare in aria, per gettarsi ai piedi di Gesù, appena riconosciuto. La naturalezza dell’invenzione caravaggesca, per il quale il discepolo scostava la sedia indietro, in segno di stupore, viene superata in teatralità da Rembrandt, che scardina la compostezza classica del Caravaggio romano o napoletano che sia. È come se l’Otello di Carmelo Bene venisse soppiantato sulla scena dall’Arlecchino di Soleri. E c’è, in effetti, qualcosa di aneddotico nella maggior parte della pur straordinaria produzione sacra di Rembrandt: le scene sono trattate con maestria, con effetti di luce e scelte compositive impareggiabili, ma è come se alla fine ti rimanesse in bocca il sapore della messa in scena: nobile, raffinata ma descrittiva più che rappresentativa.

Si tratta di premesse che rendono ancor più sorprendente il cuore della mostra, sviluppato in due sale finali, da raggiungere superando la lunga e gremita sezione centrale, dedicata ai “Precedenti”(?) “Modelli”(?) “Confronti”(?)… Una sala di passaggio sulle molteplici raffigurazioni del volto e della vita di Cristo che, vista la vastità e fortuna del tema, necessariamente appare disorientante e, certamente, risulta ben poco utile alla comprensione delle scelte del pittore di Leida. Giunti tuttavia al clou della mostra, si ha la certezza che il Santo valesse la candela. Si scopre infatti che, dovendo raffigurare le sembianze di quel Dio tanto attese dal popolo ebraico, le fattezze di quel Volto tanto agognato, il pittore capisce che non può affidarsi ad un volto generico, ma ha bisogno di un viso da ritrarre dal vero, di tratti definiti e precisi, come precisa e definita doveva essere stata l’incarnazione. Non “un” volto, ma “il” volto di Gesù. È così che le sue “immagini” del volto di Cristo, diventano ritratti della faccia di Gesù, grazie ad un modello recuperato, con un non so che di filologica approssimazione che ha qualcosa di commuovente, tra i membri della comunità ebraica di Amsterdam, forse in omaggio all’amico appena scomparso, il rabbino Menasseh. Il risultato? Giudicherà il visitatore, di fronte allo spettacolo di questa straordinaria pennellata, con la quale Rembrandt sembra affidare ad ogni tocco messo sulla tela una delle invocazioni del Popolo eletto. Una pennellata che sembra contenere in sé la fusione tra umano e divino del soggetto rappresentato, ricreato dal pittore in vera carne ma ricorrendo a pennellate di pura luce. «Perché Egli non ha disprezzato né sdegnato l’afflizione del misero, non gli ha nascosto il suo volto, ma, al suo grido d’aiuto, lo ha esaudito».

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