Diario londinese 2. Francis Bacon

“Per me il mistero del dipingere oggi è il come rendere l’apparenza. So che può essere illustrata, so che può essere fotografata. Ma come può essere resa in modo da catturare il suo mistero dentro al mistero della fattura?”

Credo sia questa la citazione giusta per accedere alla grandezza del pittore inglese Francis Bacon (1909-1992).

A lui Londra dedica una grande mostra (Tate Britain, fino al 4 gennaio 2009), aprendo le celebrazioni per il centenario della nascita. Non poteva esserci migliore inizio per il percorso che ci siamo prefissi con i nostri “Diari londinesi”. Da pittore, Bacon si è posto il problema che si sono dovuti porre tutti i suoi colleghi nel Novecento: ma se la fotografia e il cinema ritraggono la realtà così com’è, certamente meglio di come lo potrei fare io, che senso ha continuare a dipingerla?

Molti, di fronte a questa drammatica domanda hanno cercato vie che esulano dal figurativo e hanno sfondato il muro dell’astrazione, o del surrealismo. Bacon è il più importante esponente di coloro che non hanno accettato di mollare l’osso. Non ha voluto o, sarebbe meglio dire, potuto rinunciare a ritrarre la realtà, a rappresentare un soggetto ben preciso e pur sempre identificabile.

Pare poco, ma è tantissimo. Perché per evitare la semplice illustrazione, Bacon sapeva bene di dover anche restituire sulla tela il mistero che sta dentro la realtà. E non solo, perché la sua volontà era restituire del reale tutta la grandiosità: «Spero di riuscire a creare delle figure che emergano dalla loro stessa carne con le loro bombette e i loro ombrelli e renderle significative quanto una Crocifissione». Ma come fare?

Non attraverso un processo intellettuale, cervellotico, né grazie ad una premeditazione: «Sicuramente la causa della difficoltà del dipingere oggi è questa: la pittura capterà il mistero della realtà solo se il pittore non saprà come farlo». E non si tratta del via libera al puro caso: Bacon, dal punto di vista squisitamente tecnico, è uno dei più capaci e curati pittori che si conoscano.

Per rappresentare il mistero della realtà, occorre saper toccare le corde di quello che non si vede, riuscire a rappresentare la grandezza dell’uomo ma anche la sua inesorabile miseria, occorre che la tela vada a toccare nello spettatore il punto nevralgico del suo sentire: «È difficilissimo comprendere perchè un tipo di pittura arrivi a toccare direttamente il sistema nervoso e un altro ti racconti la storia in una lunga diatriba attraverso il cervello. L’ossessione è ricostruire non solo l’apparenza dell’immagine ma anche tutti i campi sensibili di cui hai consapevolezza. Vuoi aprire, se possibile, così tanti livelli del sentire, che non c’è spazio per tutti…». La realtà è ricchissima di spunti e nel quadro senti il bisogno di esprimerne tutta la grandezza, ma non attraverso una narrazione di eventi, il racconto di una storia o situazioni, ma attraverso una scossa che, in un istante, ti restituisca un complesso di sensazioni capace di farti andare al cuore della vita. Bacon riconosce come nei grandi maestri del passato questo sia stato possibile con una pittura semplicemente figurativa, a Rembrandt, grazie al suo “tocco”, alla sua libertà tecnica e, a Velázquez, in modo ancor più miracoloso: «Perchè uno vuole camminare sull’orlo di un precipizio, e in Velázquez è davvero straordinario il modo in cui ha saputo tenere l’immagine così vicina alla cosiddetta illustrazione e al tempo stesso rivelare con tanta intensità le emozioni più grandi e più profonde che un uomo possa provare. Il che fa di lui quel pittore incredibilmente misterioso che è».

Ecco perchè il pittore spagnolo e il suo Ritratto di Papa Innocenzo X, furono una vera e propria ossessione per Bacon, un modello da compulsare, reinterpretare e far rivivere in chiave attuale, attraverso le sue molteplici versioni di Papi urlanti: «Penso che in passato i pittori ritenessero di registrare qualcosa, ma in realtà facevano molto di più che registrare. Penso che oggi con i metodi di registrazione meccanici – il cinema, la macchina fotografica, e il registratore… – in pittura bisogna addentrarsi in qualcosa di più elementare e fondamentale».

Bisognava tornare a toccare quelle corde della vita, ma per farlo occorreva un linguaggio inevitabilmente nuovo. Bacon non è un pittore espressionista, non vuole esprimere il suo malessere personale, ma rappresentare quello che vede: è solo attraverso uno “scempio” della figura che ritiene di poter registrare con più chiarezza la realtà del soggetto ritratto, perché, non prendiamoci in giro, la vita è meravigliosa, e drammatica.

«Ma mi dica, chi oggi è riuscito a registrare qualcosa, qualcosa che venga recepito come realtà, senza aver compiuto un grave scempio all’immagine?».

Bacon sa che la sua non è l’unica via praticale per rappresentare la realtà senza impoverirla della sua straordinaria complessità e drammaticità, andando oltre la semplice descrizione. Ma una delle altre vie, si sente di escluderla. I pittori astratti hanno cercato di risolvere lo stesso problema, facendo piazza pulita dell’illustrazione, della registrazione, ma, secondo Bacon, «non ha funzionato perché sembra che essere ossessionati da qualcosa della vita che vuoi registrare aggiunga una tensione e un’eccitazione molto più forti di quando decidi di procedere in modo libero e fantasioso e di registrare forme e colori». Aveva ragione? Alla terza puntata londinese, mercoledì prossimo.

Un’opera che vale il viaggio

Accanto a noi… per sempre. Il trittico era per Bacon funzionale alla sua necessità di evitare la narrazione. Dividendo la scena in tre fotogrammi, si assicurava che il dramma rappresentato rimanesse cristallizzato nell’istante e non legato ad una storia particolare. L’opera accanto è uno dei tre “Trittici” dipinti in omaggio al compagno del pittore, George Dyer, suicidatosi mentre si trovavano a Parigi per la grande personale di Bacon al Grand Palais. Questa, che è la più straziante e commovente immagine moderna di perdita che io conosca, una storia ce l’ha e come, ma, guardando il dipinto, non ci è possibile pensare ad una narrazione personale che non sia anche capace di rappresentare un dramma universale. Bacon si raffigura al centro mentre apre la porta della stanza della tragedia. Tutto si tinge di rosso. Da lì in poi, a ogni suo rientro, non ci sarà più la persona amata. La lotta della vita, rappresentata nel pannello di sinistra, George, non era riuscito a sostenerla. Sulla destra rimane solo il ritratto di un caro scomparso: impressa sulla sua lastra tombale ma, ancor di più, sul piano del tavolo della nostra cucina, lì, accanto a noi, per sempre.

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