Orbita. Una mostra di Massimo Uberti

L’artista dell’opera che cambierà il Museo Gamba
Un progetto di Casa Testori
A cura di Davide Dall’Ombra
Castello Gamba – Museo d’arte moderna e contemporanea
Châtillon, Valle d’Aosta
26 marzo – 5 giugno 2022

[English text here]

 

Orbita: La mostra

Massimo Uberti è un’artista che disegna con la luce. Per farlo, tende la mano al nostro quotidiano, raccogliendo oggetti e tratteggiando stanze e ambientazioni che ci appartengono. Spesso si tratta di elementi di una semplicità disarmante: una scala, una sedia, due cavalletti, la struttura della casa come la disegnavamo da bambini… Una semplicità che vuole metterci con le spalle al muro, obbligandoci ad andare all’essenziale di ciò che ci circonda, stressando il contorno, perché l’apparenza delle cose riveli la sua ossatura, la sua sostanza. La casa, la scala, la sedia diventano l’idea che le genera e l’uso che le rende necessarie e famigliari, fondanti. Alla radice delle cose ci siamo noi, manco a dirlo, e asciugarle di connotazioni le rende universali, dell’umanità tutta. È a questo livello di essenzialità che la mente diventa libera di librarsi nel pensiero, non per fuggire la realtà, ma per darne conto nella sua complessità. E non solo perché la casa è universo personale, la sedia accoglienza e riposo dell’animo, la scala elevazione e desiderio di ascesa umana e spirituale… Il mezzo della luce porta in sé la dilatazione del contingente all’universale, espande, con le sue particelle luminose, gli elementi del quotidiano, illuminando loro e il contesto, ma soprattutto chiamandoli a generare volumi potenzialmente infiniti, facendoci alzare lo sguardo dal personale, liberando la materia dal suo limite. È questo che rende così care e appaganti le linee di Uberti, capaci di restituirci la sensazione che le cose siano tornate, foss’anche per un istante, finalmente al loro posto.

All’ingresso

In questo processo di dilatazione, e liberazione della materia, fino alla purezza dell’Orbita che cingerà il Castello Gamba, l’oggetto si fa protagonista dello spazio che occupa, non per circoscriverlo, ma per generarlo. Le opere di un museo sono trampolini del pensiero e dell’emotivo. ESSERE SPAZIO è una semplice scritta luminosa che, marchiando il Castello, denuncia questo processo generativo che innescano le opere negli occhi del visitatore: il museo come luogo generato e generativo di essenza, innanzitutto artistica e quindi umana, in cui il potere è in mano a chi lo vive.

Tra le opere della collezione          

È così che alcune opere di Uberti partecipano a questo processo ri-creativo e contaminano le sale della collezione permanente a sottolinearne aspetti chiave.

Nella tautologia semplice degli affetti che caratterizza l’artista, non poteva mancare una montagna tra le montagne della prima sala, evocata con quella creta invetriata che, poco più avanti, dà origine anche al percorso allestito negli spazi espositivi. Si annuncia così il tema del crinale tra preziosità e semplicità, ma anche dell’ambiguità tra impermeabilità e porosità che caratterizza questi mattoni. Al centro è l’intangibilità della materia, incapaci come siamo di definirla fino in fondo, riducendola a solo oggetto.

Nel salone principale, la scultura Tre dimensioni non è altro che una grande sedia, erta a diventare trono dell’assoluto, mentre è attraversata dalle linee luminose delle direzioni possibili. Qui è posta a gareggiare con l’eroicità del protagonista del Castello, l’Ercole di Arturo Martini, che è posto al centro reale e simbolico dell’intero edificio. È intorno a lui, ultimamente, che girerà l’Orbita di Uberti ed è lui il “maschile” con cui si scontra ora il “femminile” di questa scultura di linea luminosa, solo in apparenza più fragile.

Camminando tra le sale non mancano altre opere inattese, con cui Uberti trapunta il percorso, interagendo con lo spazio in sé e con la “pretesa” comunicativa del Museo, più che con la singola opera. Si stendono così sul pavimento i tappetti kilim in lana, che aprono gli ambienti alle complessità armoniche delle città ideali o compare una delle sedie in neon dell’artista che, esattamente come i dipinti che la circondano, accetta di essere “usata”, a patto che non si rompa l’incantesimo, trasgredendo le due regole auree: quella del tempo debito di osservazione e quella del guardare ma non toccare…

Fare i conti con gli oggetti non è un’operazione indolore. Non sempre il neon, come del resto il nostro pensiero che attraversa le cose, accarezza le forme del reale, a volte sembra travolgerle o, meglio, trafiggerle. È quello che avviene quando la luce sgorga come una spada nella roccia da un libro o lo trapassa. Lo stesso può accadere tra due sedie, sventrate dalla drammaticità di un rapporto complesso che cerca il proprio filo da seguire, fin dal titolo: Due come noi.

Nel salone espositivo

Ad avviare il percorso nelle sale espositive è un’opera appositamente realizzata per la mostra: la serie dei “mattoni” (invetriati, dorati, smaltati o segnati dal testo…) che declinano nella loro semplice linearità il modulo base del costruire spazio da abitare, fondamentale nella poetica dell’artista. Torna la preziosità e semplicità del materiale che ci ha introdotti nel dialogo con le montagne della prima sala, ma l’elemento naturale porta qui tutto il carico del lavoro umano: la realtà plasmata dalla tradizione e dal pensiero. I piani colorati si fanno campionario delle sensazioni e delle esperienze, i mattoni sono le pietre angolari, le “testate d’angolo” del pensiero dell’artista e dell’immaginario che crea. Non a caso quattro di essi, quattro punti cardinali o, meglio, i quattro angoli della stanza del pensiero e dell’abitare, sono marchiati dalle frasi topiche che sottendono tutto il lavoro dell’artista: Spazio Amato, Altro Spazio, Spazio Necessario ed Essere Spazio. Sono i luoghi della creazione artistica, generati o accolti dalla sua opera. Perché i segni di Uberti, più che soverchiarci di significati, spesso non fanno altro che indicarci la lirica poesia di ciò che ci circonda. Non a caso l’artista si definisce “un disegnatore di luoghi per abitanti poetici”.

Nel salone si fronteggiano due grandi lavori che l’artista ha concepito a quasi vent’anni di distanza. Spinario risale al 1994, è un’opera fondante del suo percorso, in cui l’omaggio alla celebre scultura dei Musei Capitolini, uno dei soggetti più ripresi dalla storia dell’arte, diventa l’immagine poetica del ruolo dell’artista, chiamato a stare sulla soglia tra il mondo visibile e un mondo altro, infinito, qui rappresentato dal quadrato di luce. L’artista, chiamato a indicarci questo altro, riconosce tutta la gravità del compito e il suo limite umano; non è nella posizione stentorea del viandante di Friedrich davanti all’assoluto della natura, si pone su quella soglia piegato su di sé, distratto dai propri accidenti, gli dà le spalle persino, rivelandosi uomo come noi, incapace di starci di fronte eppure dipendente da esso.

Di fronte a lui, la grande scultura Giorni Felici, realizzata per l’omonima mostra a Casa Testori nel 2011, ha gli elementi maturi del linguaggio di Uberti: nella trasfigurazione degli elementi quotidiani e nel procedere ordinato e paratattico dei fasci luminosi che ne libera la grandezza, dilatando la funzione del quotidiano. In una chiave tracciabile, Uberti sembra ora poter fare i conti con quell’assoluto luminoso, non per chiuderlo, ma per indirizzarne la forma al percepibile.

Sulla balconata

Una seconda serie di opere realizzate per la mostra segna le pareti della balconata. Non a caso, se ci posizioniamo al centro del salone con le spalle alla finestra, tra le due grandi sculture luminose, possiamo vedere insieme i due livelli: quello dei mattoni e quello di queste tele. Si tratta, infatti, di due famiglie strettamente imparentate che, in un certo senso, svelano l’ossatura della poetica dell’artista, aprendoci per un momento la sua cassetta degli attrezzi. Tela dopo tela, abbiamo la possibilità di scoprire nello specifico gli strumenti formali con cui Uberti declina le sue quattro accezioni di Spazio. A dichiarare le fattezze che, in questi anni, han preso quei mattoni concettuali, sono esposti qui i suoi Archetipi, ossia le forme sintetiche e generative che ricorrono nelle sue opere ambientali e tridimensionali in genere: la scala, il varco, la casa, la città ideale, la linea

Negli schermi posti a lato, si svolge una narrazione per immagini di opere, grandi installazioni e interventi pubblici che l’artista ha realizzato in Italia e nel mondo in questi anni, declinando questi archetipi, dilatandoli in una scala potenzialmente infinita attraverso l’uso della luce, posta a segnare l’unione tra grande respiro e pulizia formale.

L’ultimo degli archetipi è proprio l’orbita che genererà la grande installazione permanente progettata per il Castello Gamba a cui è dedicato un approfondimento nell’Altana, al termine del percorso.

Massimo Uberti, Orbita

L’Altana del Castello è dedicata a Orbita, quale anticipazione della sua installazione al Castello Gamba, nella prossima estate. Alle pareti sono posti disegni preparatori originali, prospetti tecnici, render e testimonianze sulla genesi dell’opera.

In una struttura in acciaio imponente ma leggera, agli occhi come nel peso, scorre una linea di luce calda di LED, seguendo la struttura di sostegno per 65 metri di sviluppo, 20 metri di larghezza e 13 metri di profondità. Si tratta di un’ellisse di luce ideata dall’artista per cingere la sommità del castello e abbracciarne il perimetro. Al livello della torre centrale, un’orbita visibile da molto lontano e non solo di notte, si configura come un unicum in Europa e trasformerà il Museo in un’immagine iconica riconoscibile in tutto il mondo.

È un’opera che cambierà il volto del Castello Gamba, nata da un progetto elaborato con l’artista da Casa Testori, voluta dalla Soprintendenza della Regione autonoma della Valle d’Aosta e realizzata grazie al sostegno del Ministero della Cultura che le ha assegnato il PAC (Piano per l’Arte Contemporanea) 2020, un bando promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea.

Un’orbita di cui l’edificio, e le opere d’arte che contiene, sono il centro generativo, il sole intorno cui ruotare. La severa struttura del castello è trafitta e alleggerita da un segno contemporaneo che accelera la capacità di irradiazione culturale del suo contenuto, messo in un nuovo circolo di trasmissione. Il museo diventa così perno e “motore” ideale, un “sole” della collettività, attorno a cui ruotano i suoi “satelliti”, ossia le aspettative collettive di bello e conoscenza del contemporaneo.

La presentazione dell’opera Orbita nell’Altana è stata allestita grazie al contributo di CVA energie.

Davide Dall’Ombra

 

 

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