La luce dietro di noi

Ecco, in questi giorni sospesi, in cui la Guerra, a ragione, sembra necessariamente catalizzare tutta l’attenzione drammatica ed emozionale di cui siamo capaci, un’immagine così ci concede lo spazio desiderato dell’attesa. L’opera scelta quale augurio per questa Pasqua è Senza titolo (Spinario), di Massimo Uberti (1966), artista bresciano tra i maggiori interpreti della Light Art in Italia. Si tratta di un’opera giovanile del 1994 e segna il momento in cui un artista concettuale affascinato da Giulio Paolini comincia a fare i conti con la simbologia praticabile della luce, nella sua moderna incarnazione elettrica. Formalmente, si tratta dell’accensione di una geometria perfetta: un quadrato omogeneamente illuminato, posto a creare un confine o, meglio, una soglia sulla quale possa sedere un ospite inatteso. In primo piano, infatti, un manufatto di marmo riproduce in piccolo una delle più celebri statue dell’antichità: lo Spinario, forse la scultura classica più riprodotta o citata, anche in pittura, nell’arte dei secoli passati. La più antica è probabilmente la variante bronzea conservata ai Musei Capitolini di Roma (I sec. a.c.), ma non c’è grande museo internazionale, dal Louvre al Puskin, che non ne conservi un’antica variante, magari marmorea. Per Uberti si tratta della metafora dell’artista che, alla fine, deve fare i conti con la propria piccolezza. Ma quel ragazzino preoccupato della sua spina nel piede, apparentemente ignaro di tutto ciò che lo circonda, innanzitutto della vastità di luce che lo sovrasta, siamo noi: ora più che mai incapaci di stare di fronte alla grandezza e purezza che pur desideriamo. Quel quadrato di luce è un’immagine di infinito, al pari del mare di nebbia che fissa il viandante di Friedrich. Ma noi, impiastricciati nell’appiccicaticcio dell’esistenza, non siamo eroi romantici, erti in piedi di fronte ad esso, stagliati contro l’orizzonte… Stiamo lì, ripiegati su noi stessi, intenti in piccole cose che ci sembrano tutto, solo perché capaci di farci soffrire.

Ma non c’è sonno dei soldati, tantomeno degli apostoli nell’Orto, che abbia impedito la Resurrezione e non ci sarà buio dentro di noi, per quanto grande, capace di spegnere quella luce. Quell’oltre è lì: splendente e pulito, puro e spiazzante. È una luce che sa di soglia e voglia, di infinito, ma che, paziente, aspetta dietro di noi, coprendoci le spalle come un padre che veglia discreto sui tentativi scomposti ma eroici del figlio. Non ha fretta. Attende il nostro sguardo. Anche quest’anno, anche in questo giorno, potremo sempre decidere di girarci.

Davide Dall’Ombra

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Didascalia: Massimo Uberti, Senza titolo (Spinario), 1994, legno, led e ferro, 220x130x35 cm. Fino al 5 giugno esposto alla mostra Orbita, personale dell’artista al Castello Gamba di Châtillon, Museo del Novecento e del Contemporaneo della Valle d’Aosta.

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