Una speranza così

Natale fa rima con speranza e non è una roba da bambini. Saranno i tempi che stiamo attraversando, sarà quella sensazione di dover sopravvivere – a chi è concesso – in bilico su assi galleggianti a pelo d’acqua, in attesa di approdare a una riva che sembra continuare ad allontanarsi, ondata dopo ondata… Sarà questo senso d’incertezza latente, ma sembra così poco confortante, ora, una favola di Natale. Per nostra fortuna, questa coppia d’immagini appartiene alla documentazione di una storia vera, magari dura, ma reale. È una vicenda intima, drammatica e straordinaria, affrontata con la poesia che spetta solo all’arte. Nel settembre 2020, quando il mondo pareva poter uscire dall’incubo, una ragazza di 26 anni ci stava entrando, con una diagnosi di tumore ovarico. La trafila a seguire fu quella che immaginiamo: la chemioterapia, il corpo che si ribella e cambia, i capelli che cadono, lo sguardo di chi ci nega un parametro diverso di bellezza e la nostra incapacità a impedirglielo…

Nasce così un inedito progetto autobiografico, che l’artista Giorgia Zaffanelli sta costruendo in questi mesi attingendo a testi, fotografie, video e performance. La necessità era “rivendicare per sé il potere narrativo sulla propria vicenda, immaginare io stessa il significato che volevo dare a quello che mi era accaduto”. Ed è qui che dal dolore nasce la poesia. “Seguendo il consiglio dei medici, ho deciso di sottoporre sette ovociti a crioconservazione, nel tentativo di preservarli dai danni dovuti alla chemioterapia, e scongiurare in questo modo l’impossibilità di diventare, a tempo debito, anch’io madre. Nell’attesa di scoprire se avrei riacquistato la cittadinanza nel regno dei sani e dei vivi, la cosa più saggia da fare mi è sembrata intrecciare nidi con quelli che erano stati i miei lunghi capelli, nella speranza che qualche uccellino fosse più biologicamente fecondo di me, e ne facesse buon uso. Ho costruito sette nidi di merlo (sette come gli ovociti che mi hanno prelevato) e li ho posizionati in natura, in luoghi ritenuti propizi dagli esperti”. A questo punto bisognava solo aspettare. Un’attesa gratuita, che nasce dal prendersi cura, dal mettersi al servizio, donando una parte di sé perché riacquisti un senso, senza poter pretendere nulla dalla natura, dall’altro. Accade così che, dei sette nidi allocati, sei rimangono inabitati, ma uno viene eletto a dimora, prescelto da una madre per generare la sua prole, con la pazienza della cova, delle uova che si schiudono e di questi piccoli uccelli che cominceranno presto a volare. Non lo meritiamo, ma ogni giorno anche noi attendiamo qualcuno che riempia il nostro nido, che venga a porre la sua dimora dentro di noi, che voglia abitare la nostra disponibilità a donarci, qualcuno capace di generare qualcosa che, a sua volta, spicchi il volo, portandosi dietro una parte di noi. Il Natale parla proprio di un inizio così, di una speranza così.

Davide Dall’Ombra

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