Intervista a Christian Parisot: benedetto Modigliani

Modì maudit, anzi no. Amedeo Modigliani è stato uno di quegli artisti la cui vita dissoluta e particolarmente romantica ha certamente contribuito in modo determinante ad accrescerne la fama. Il rischio però, trattandosi di un grandissimo artista, è che la stessa fama abbia rallentato, se non distorto, l’effettiva conoscenza della sua opera e una serena analisi delle novità da lui introdotte o dei debiti della sua produzione verso altri artisti, coevi o del passato. In effetti gli elementi per una leggenda ci sono tutti: la partenza per Parigi da una cittadina tutto sommato di provincia come Livorno, una vita incline alle droghe e all’alcool, una salute fragile che lo ha stroncato a soli 36 anni e seguita, il giorno dopo, dalla scomparsa della compagna Jeanne Hébuterne, suicidatasi per il dolore, gettandosi dalla finestra del quinto piano, proprio mentre attendeva il loro secondo figlio. Già negli anni Cinquanta, proprio la prima figlia dell’artista e della Hébuterne, a cui diedero lo stesso nome della madre Jeanne, sentiva il bisogno di scrivere una biografia di Modigliani, significativamente intitolata: Modigliani senza leggenda, col preciso scopo di portare alla luce, grazie a documenti e testimonianze dirette, la vera vita e opera dell’artista. Un lavoro difficoltoso, data la scarsità di documenti e la dubbia attendibilità dei resoconti raccolti, visto che, si racconta nel libro, «I testimoni diretti possono essere divisi, all’ingrosso, in tre categorie: i sentimentali indulgenti, che s’inteneriscono sul bel giovane elegante, signorile, colto e squisitamente gentile; gli insofferenti ai quali l’artista non fa dimenticare l’insopportabile istrione, incapace di sopportare l’alcool e incapace di frenarsi, un debole artefice della propria rovina, un ubriacone rompiscatole e guastafeste; infine gli egocentrici, per i quali Modigliani è solo un pretesto per evocare la loro gioventù». In effetti, continua la Modigliani, «Utilizzando in diversa misura le varie testimonianze, innestandovi i loro personali ricordi, alcuni scrittori […] hanno creato un personaggio, seducente o esasperante secondo i gusti, ma altrettanto lontano dal vero Amedeo Modigliani, quanto Don Giovanni è lontano da Miguel Mañara». La sconsolata conclusione che ne trae, «Sostituire al personaggio leggendario un uomo in carne ed ossa è ormai impresa vana», divenne in realtà sprone formidabile non solo per le scoperte riportate nello stesso volume, ma per le ricerche che, su questa linea, impegnarono molti critici fino ai nostri giorni. Non stupisce quindi che per le celebrazioni del 2006, indette per ricordare il centenario dalla partenza del l’artista verso Parigi, sia stato scelto, come filo conduttore delle iniziative, proprio il tema dell’italianità di Modigliani e della smitizzazione della sua figura; a volerlo è stata Laure Nechtschein (nipote di Modigliani e figlia della stessa Jeanne Modigliani) che ha affidato la curatela generale degli eventi a Christian Parisot, a lungo collaboratore archivista della madre Jeanne e ora direttore del Modigliani Institut Archives Légales Paris Rome. Dopo le importanti conferenze e mostre romane, tenutesi al Centro di Studi italo-francesi e al Vittoriano, spetta proprio a Lugano chiudere quest’anno speciale, con una significativa esposizione alla Biblioteca Cantonale, Modigliani. La vita in immagini, curata da Luca Saltini e dallo stesso Parisot, al quale abbiamo rivolto qualche domanda:

Cosa ci aspetta nella mostra luganese?

È una mostra in tre “tempi”. Il primo “tempo” è dedicato alle fotografie di Anna Marceddu realizzate a Livorno, a Parigi ma soprattutto nei possedimenti della famiglia Modigliani in Sardegna: una grande tenuta di 12 mila ettari nella regione di Grugua, nell’Iglesiente, importanti per sfatare una leggenda che vedeva Modigliani provenire da una famiglia disgraziata; questa mostra è, infatti, un po’ Modigliani la verità. La verità che viene dai documenti, secondo “tempo” della mostra, che ci raccontano la storia della vita di un giovane immerso nel mondo dell’arte già all’età di quattordici anni e che inizia a dipingere in Italia, formandosi tra Livorno, Firenze e Venezia, prima della partenza del 1906 per Parigi, la città degli Impressionisti, la città dove gli artisti avevano una loro posizione e venivano anche considerati dai mercanti, cosa che non succedeva comunemente in Italia. Infine il terzo e importantissimo “tempo” della mostra: i sette disegni provenienti da collezioni private svizzere, fatto molto importante che conferma quanto le collezioni del vostro paese siano una risorsa importante di opere, in gran parte non conosciute.

Ha accennato alla demitizzazione di Modigliani, un tema che sappiamo esserle caro?

La cattiva cinematografia [cfr, da ultimo, I colori dell’anima, con Andy Garcia, nel 2004; n.d.i.] e la cattiva letteratura hanno dato di lui un’immagine che purtroppo la leggenda ha veicolato, mentre questa mostra dimostra esattamente il contrario, con prove che sono evidenti: immagini, scritti, lettere e soprattutto fotografie che testimoniano le sue capacità, le sue grandi doti di artista autonomo, indipendente, al di fuori da tutti i tipi di Avanguardie dell’epoca, cioè non un ragazzino influenzabile, contrariamente a quanto tutta la letteratura e la filosofia hanno sempre voluto attribuire a Modigliani, quasi fosse un sottoprodotto di Picasso o di altri artisti.

Ha curato il catalogo ragionato di Modigliani, di cui sono usciti ben 4 tomi, nonché un’importante biografia dell’artista, frutto di 25 anni di lavoro e già tradotta in nove lingue. Quale sfide attendono ora lei e l’Institut Modigliani che dirige?

La catalogazione è uno strumento di lavoro che sarà usato da moltissimi studiosi e che aprirà senz’altro a nuove ricerche, ma che ancora non può dirsi concluso: è di pochi giorni fa una nuova importante scoperta. Proprio in occasione di una presentazione romana, la figlia dell’attore e regista Vittorio de Sica, ci ha presentato un disegno inedito di Modigliani, raffigurante un pellegrino, finora sconosciuto a tutti noi, che De Sica teneva sopra il suo letto e che ha avuto quindi come immagine forte per tutta la vita. È una scoperta importante che inseriremo nel quinto tomo del catalogo ragionato e che aggiunge un elemento alla sua produzione sacra, concentrata in un periodo “mistico” (1916-1917), nel quale il pellegrino, che sarebbe poi lo stesso Modigliani, ha l’aspetto di un ragazzo penitente, alla ricerca della fede.

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