Intervista a Carlo Bertelli

Al professore è stato conferito ieri a Milano il Premio 2005 della Fondazione del Centenario della Banca della Svizzera Italiana. Alla cerimonia di consegna del prestigioso riconoscimento la laudatio è stata tenuta dall’Ambasciatore Sergio Romano.

Professor Bertelli, questo premio non fa che suggellare un legame con la Svizzera che dura da più di vent’anni e che l’ha vista nel ruolo di Professore di Storia dell’arte in due importanti università come quella di Losanna e Mendrisio. A Losanna ha risieduto per più di dieci anni, dall’82 al ’95, che ricordo ha di quegli anni?

Losanna mi è rimasta nel cuore per tante ragioni, per l’atmosfera che c’era, per l’incontro coi colleghi, per la varietà dei punti di vista, per i rapporti di vita collegiale e per la bellezza del luogo. Il campus di Losanna è indimenticabile, insieme alle grandi possibilità di studio che Losanna offriva e offre: avere la biblioteca facilmente consultabile dalle 8 di mattina fino alla sera tardi, la possibilità di avere libri in prestito e continuare a lavorare a casa, il fatto che questa biblioteca era un punto in cui poter incontrare gli studenti e i colleghi, avere sotto la biblioteca una buona mensa e un ristorante… Erano cose che danno allo studio le lusinghe di una grande vacanza, io ho lavorato moltissimo in quegli anni, ma avevo sempre la sensazione di essere in vacanza. Dal ’97, dopo un anno alla Facoltà di Architettura di Venezia, è tornato in Svizzera, ma questa volta l’avventura di Professore è ripartita dall’Università di Architettura di Mendrisio. A Mendrisio era diverso perché non risiedevo lì, facevo il pendolare, ma è stata un’esperienza altrettanto entusiasmante. È stata la riscoperta di una Lombardia che non esiste più: mi è sembrato che Mendrisio, come del resto il Ticino, avessero conservato le tradizioni, lo spirito, il dialetto… in un modo che non si trova altrove. E poi la grande esperienza era quella di tentare una strada completamente nuova. Ho partecipato alla nascita dell’Università, con i fondatori, Botta naturalmente, ma anche personalità come il grande Panos Koulermos che portava un’esperienza internazionale, americana in particolare. Con loro si è iniziato un discorso molto aperto su quello che doveva essere l’università. È stato un momento di una fertilità incredibile. Adesso l’università va avanti a Lugano e a Mendrisio ma allora avevamo proprio l’orgoglio di esserne i fondatori, è stata una grandissima esperienza, irripetibile naturalmente e che, se posso permettermi di dirlo, mi dà un certo orgoglio.

Dopo tanti anni di insegnamento in Università, che idea si è fatto degli studenti? Come è la situazione oggi della nuova generazione?

Fino a non molto tempo fa, ma le cose si stanno attenuando, c’era una grande differenza tra gli studenti che venivano dall’Europa dell’Est, rumeni o tedeschi orientale, che avevano prima di tutto una preparazione di base invidiabile, avevano imparato l’ABC, come si dice, cosa che i nostri spesso non avevano, e possedevano una grande energia, una grande voglia di andare avanti; i nostri erano più pigri, venivano da situazioni sociali molto diverse e da un insegnamento che era stato molto più rilassato. Oggi quello che io constato è soprattutto l’affetto dei miei allievi con i quali continuo ad avere un rapporto, e il fatto che molti di loro stanno progredendo: partecipano a concorsi insieme ad architetti affermati, a concorsi internazionali… hanno coraggio, questo mi sembra un elemento molto importante, e non hanno la timidezza che avevano inizialmente, hanno acquistato fiducia in sé stessi.

Dagli allievi ai maestri: quali sono stati i suoi?

Sono stati soprattutto Roberto Longhi e Pietro Toesca ma direi che c’è anche un terzo: Otto Pächt di cui sono stato grande amico, per tanti anni. Credo mi abbia influenzato molto anche se naturalmente, come italiano, avevo una preparazione che si rifaceva a Toesca e a Longhi. Longhi era un maestro molto difficile perché era inimitabile, il problema con Longhi era di emanciparsi da lui, con Toesca era quello di potersi confrontare con lui, con la sua filologia e con Pächt il problema era riuscire a seguire le sue intuizioni, non tanto la sua metodologia, ma la sua grandissima capacità intuitiva, un modo di accostare cose diverse e trovare il filo che le univa. Sono profondamente grato a questi miei tre maestri che sono quelli che mi hanno formato.

Uno storico dell’arte non va mai in pensione: a cosa sta lavorando ora?

Ho appena inaugurato una mostra dedicata a Ravenna nel VI secolo, e continuo ad occuparmi del tema che ho affrontato con la mostra dei Longobardi, e che m’interessa molto, ossia quello del meticciato, della fusione delle stirpi e delle culture, tra il mondo germanico e quello mediterraneo: le grandi novità e transizioni del VI secolo. Un altro argomento che continuo a studiare è Piero delle Francesca, sul quale sto preparando una mostra per il 2007 ad Arezzo e di nuovo mi interessano questi passaggi, questi momenti di transizione nei quali si rivelano le identità e nello stesso tempo si sciolgono, perché si tratta di affrontare situazioni radicalmente nuove portando dietro quelle che sono state le proprie tradizioni, il proprio modo di pensare e operare. Questo trovo sia molto stimolante e in fondo molto attuale.

Che augurio farebbe al Ticino e alla sua vita culturale?

L’augurio al Ticino è un augurio politico: non abbia paura dell’Europa, non sia il Cantone che continua a votare contro le forme di integrazione europea, perché il destino della Svizzera è essere al cuore dell’Europa, se posso fare un augurio vedendo le cose da sud delle Alpi. Per quella che è la cultura del Ticino, mi sento ancora molto impegnato perché faccio parte del consiglio della Fondazione Marianne Werefkin del Museo di Ascona e secondo me il Ticino ha molto da recuperare in quello che già sta facendo per riconnettere, ricostruire il tessuto con la grande migrazione europea che l’ha sostenuta in questi anni e soprattutto negli anni della dittatura, quando il Ticino è stato uno dei grandi centri di libertà ed elaborazione culturale. Per questo ci tengo a vedere il Ticino come una parte dell’Europa. Il fatto che ci sia un’università e che questa raccolga studenti che vengono da tutto il mondo, dall’America Latina, da tutto il Mediterraneo, dall’Est Europeo, mi pare che sia un fatto nuovo che riprenda le fila di una tradizione ticinese molto importante e che è stata elaborata negli anni difficili dell’Europa: quando l’Europa era sotto le dittature e il Ticino è stato un faro di libertà.

«Un omaggio al giornalista, studioso, docente e funzionario»

Il Premio 2005 della Fondazione del Centenario della BSI è stato conferito a Carlo Bertelli con la seguente motivazione: «Durante la sua lunga carriera Carlo Bertelli ha recitato nel mondo dell’arte, con altrettanto successo, quattro parti distinte. Ha concorso, come funzionario del Ministero dei Beni culturali, all’amministrazione del patrimonio culturale italiano occupando posizioni di grande responsabilità e prestigio nell’Istituto Centrale del restauro e, infine, alla testa della sovrintendenza milanese. Ha affrontato con grande acume e competenza, come studioso, alcuni grandi problemi e periodi di storia dell’arte, dall’antichità all’Alto Medio Evo, dal Rinascimento ai rapporti tra la cultura artistica veneziana e il Levante. Ha arricchito la cultura universitaria confederata e della Svizzera italiana con il prezioso apporto di conoscenze ed esperienze legate alla grande pittura italiana, educando all’apprezzamento dei valori artistici un’intera generazione di giovani studenti dell’Università di Losanna e dell’Accademia di Architettura di Mendrisio. Ha saputo trasmettere al grande pubblico della stampa quotidiana il vasto patrimonio delle sue conoscenze ed esperienze. Con questo premio la Fondazione del Centenario della Banca della Svizzera Italiana rende onore al funzionario, allo studioso, al docente e al giornalista». La Fondazione del Centenario, costituita in occasione del primo secolo di vita della banca BSI nel 1973 e presieduta dall’avvocato Franco Masoni, ha l’obiettivo di patrocinare personalità e organizzazioni che dedicano il loro impegno allo sviluppo delle relazioni tra Italia e Svizzera contribuendo a una sempre migliore intesa e comprensione tra i popoli delle due nazioni o all’accrescimento del comune patrimonio culturale. Nell’albo d’oro della Fondazione del Centenario, figurano nomi di spicco della letteratura, della critica, dell’arte e della politica tra cui Riccardo Bacchelli, la Fondazione Svizzera Pro Venezia, Giovanni Spadolini, Vittore Branca, Giancarlo Vigorelli, Cornelio Sommaruga, Carlo Bo, Rocco Filippini, Giovanni Pozzi ed Enrico De Cleva e, fra gli enti: l’Istituto Svizzero di Roma, la Pro Venezia, la Scuola Svizzera di Milano e l’Università della Svizzera Italiana.

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