Da Londra a Roma 3. Anish Kapoor alla Royal Academy

Lo scultore inglese Anish Kapoor ha innanzitutto il pregio di non rinnegare il suo ruolo: “L’artista può permettersi la libertà preziosa d’una visione individuale che lo emancipa dalla piccolezza della vita e io mi voglio grande, grandissimo”. Kapoor è interessato ai temi definitivi, alle faccende eterne e questo, checché se ne dica, è ancora molto attuale: «L’arte che ammiro fa qualcosa di più che raccontare la mia piccola storia psicobiografica (e a chi interesserebbe?). Noi siamo al mondo per qualche minuto, e poi moriamo. Se dobbiamo “sopportare” l’arte, deve avere a che fare con qualcosa di molto più grande di una storia particolare, anche se magari per raccontare questo più grande, passiamo dalla nostra psico-biografia». Perché, pur avendo una grande cultura filosofica, l’unica conoscenza dell’uomo che Kapoor riconosca è quella empirica, dell’esperienza, e a chi gli chiede quale sia il significato delle proprie opere, risponde candidamente di non aver niente da dire. Niente di “particolare”, visto che poi sposa l’affermazione di Bruce Nauman, che sosteneva che l’artista rivela profonde verità mistiche, aggiungendo, con molto realismo, che l’artista non conosce queste verità, ma vi incappa.

Con le proprie sculture, i propri materiali, Kapoor insegue «una fusione tra la mano e l’occhio, l’orecchio e l’occhio, fino a creare un’instabilità nello spettatore, obbligandolo a cercare un equilibrio, una certezza». Ecco una delle verità più interessanti in cui è incappato Kapoor: destabilizzare lo spettatore è l’unico modo di fargli raggiungere una certezza. È per questo che è affascinato dal vuoto, dalla possibilità di poterlo rappresentare, catturare con le proprie sculture: «il vuoto è dove il tempo e lo spazio sono apparentemente assenti, dove giungono a un punto morto, creando un’irrequietezza, un disagio». Un disagio che Kapoor non ricerca per sadismo. Il vuoto non coincide con il nulla. Come per Fontana, il vuoto è attesa capace di generare, esattamente come, sostiene Kapoor citando Heidegger, la brocca per essere brocca, deve avere al suo interno il vuoto, quel vuoto destinato a contenere il vino o l’acqua, che è ciò che ne fa un recipiente, ciò che insomma, la genera in quanto brocca. «Ho sempre pensato al vuoto come a uno spazio transitorio. E tutto ciò ha molto a che fare con il tempo. Sono sempre stato interessato al momento creativo in cui ogni cosa è possibile e niente è ancora accaduto. Il vuoto è quel momento di tempo che precede la creazione, in cui tutto è possibile». E la creazione è il tema dell’opera più sconvolgente in mostra a Londra: Svayambh, il grande monolite di cera e vaselina rossa che attraversa le sale della Royal Academy. «Il mio blocco di cera che passa a fatica, come se la pelle si scorticasse – racconta Kapoor –, è quasi un prodotto dell’edificio, ricorda il processo con cui si forma il significato delle cose. La storia della scultura è storia della materia e della sua fragilità, anche il colore è materia fisica di cui facciamo esperienza, certe volte in modo tragico, altre più gioiosamente». L’arte di Kapoor richiede tempo per essere guardata, vissuta, amata: «La verità mistica dell’arte è il tempo… Sono interessato alla scultura che manipola lo spettatore obbligandolo ad una relazione con lo spazio e il tempo». A concederglielo, questo tempo, a lasciarsi manipolare, sostando di fronte all’incedere del gigante rosso, lo spettatore porterà a casa la più indelebile immagine di molti frammenti della propria vita, qui eternati in poesia visiva: lo struggimento di quell’amore che vedi pian piano ma inesorabilmente scivolar via… il segno profondo che quella persona ti ha lasciato attraversandoti la vita, la certezza che le cose prenderanno quasi impercettibilmente la loro strada… Tutte esperienze che sembrava impossibile rappresentare con questa semplicità. Un elemento che accomuna questo straordinario lavoro all’altro punto stupefacente della mostra, Shooting into the Corner (vedi box qui sotto) è l’uso di un impasto di cera, pigmenti rossi e vasellina dalla consistenza cremosa e viscerale: «il rosso – precisa Kapoor – è un colore della terra e, ovviamente, del sangue e del corpo… ma è anche il colore della ferita…». E non si tratta di una ferita generica, o almeno non solo. Lo scultore ha dichiarato più volte il debito che la propria opera ha verso L’incredulità di San Tommaso di Caravaggio: «Voglio ricordare la ferita nel costato di Cristo, che non è posta al centro del corpo, e il fatto che la dimora passa attraverso il dubbio, una dimora nasce dal dubbio. È il dubbio di Tommaso che dà forza a quella ferita, il suo “toccare per credere”… Qual è la lezione della ferita nel costato di Cristo? Il dito deve andare nella profondità della carne per diventare l’occhio che vede, per diventare la bocca che parla, per proclamare: “Sì è il Signore, è Dio!”. La divinità di Cristo non può essere pienamente compiuta sulla Croce, ma solo con il ritorno di Cristo, nella riapertura della ferita con l’entrata obliqua del dito di Tommaso, e il contatto delle mani dei suoi discepoli. Allo stesso modo, la mia opera è veramente riuscita quando entra nella terza dimensione… L’artista si fa la stessa domanda dell’Apostolo, pur nella diversità di scopo: “Dov’è la dimora di luce in questa pietra? Il vuoto in questo colore? Lo spirito di questa carne?”».

“Shooting into the Corner”

Un cannone ad aria compressa che spara “proiettili” della stessa cera e vasellina a 80 km orari. Il bersaglio è l’angolo di una parete bianca, oltre l’arco di una porta. È un rito che ricorda il cambio della guardia: ogni 20 minuti un inserviente si alza davanti alla folla allineata, muta e impaziente, carica il cannone ed accende il compressore. All’improvviso, spara: spavento, urla, l’obbiettivo trema e, sulla parete, una nuova massa calda cola verso il basso. A fine mostra, oltre quello stipite, una scultura da 30 tonnellate. Il visitatore non solo è chiamato ad assistere alla creazione della scultura, in buona parte generata dal caso, ma è esso stesso parte integrante dell’opera: la sua attesa, il suo silenzio e il suo sgomento sono essenziali quanto le munizioni di cera.

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