Se la Stiratrice di Picasso attende la resurrezione

La pazienza generosa e straordinaria di un quadro come questo è il frutto della forza inarrivabile, presente solo nelle opere capaci di lasciarsi impregnare dal mondo alle quali appartengono. Si tratta di un dipinto capace di trasfigurare il quotidiano, trapuntandolo della ricchezza che gli è propria, che grida con il silenzio ed esulta nella calma grandezza del reale, estranea ai colpi dell’aggiungere, figlia di quelli del levare. La Stiratrice di Picasso è un quadro nel quale il tutto sta dalla parte del pochissimo. Il tessuto pittorico è asciugato fino all’estremo, la tavolozza cromatica è quasi annullata nel monocromo grigio-bianco, la semplificazione della struttura compositiva e lineare atterrisce ogni velleità d’artificio. Eppure… eppure non potremmo mai dire che quella che abbiamo di fronte è un’immagine di nulla. La protagonista si erge nello spazio con la forza di una cariatide chiamata a sostenere ben più che un cornicione, dimostrando di saper reggere su di sé il peso della vita quotidiana, di esser capace d’attraversare un gesto apparentemente insignificante, così tremendamente vicino al nulla, con la stessa forza di un’eroina biblica. Perché il nostro, non è più il tempo di tagliar la testa ad Oloferne, o piantar chiodi nella testa di Sisara, la battaglia in corso è quella, non meno perigliosa, di dir di sì alla vita spicciola, di dare un senso alla speranza. Perché davanti ad un quadro così, nel quale “la trama del giorno è tessuta di chiara luce”, nel momento in cui “il sole scompare all’estremo orizzonte”, quando “scende l’ombra e il silenzio sulle fatiche umane”, il cuore si strazia nel desiderio di resurrezione, perché la fatica non sia l’ultima parola e: “Non si offuschi la mente nella notte del male, ma rispecchi serena la luce del Tuo volto”.

Pablo Picasso, “La Repasseuse”, 1904, New York, The Solomon R. Guggenheim Museum. 

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