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Gerhard Richter’s 9/11: “September”

Uno dei fattori emblematici dell’“11 settembre” è che, ritornando a quel momento, ognuno di noi pensa quasi subito a dove si trovava quando è successo. E non parlo di quell’amica europea di passaggio a New York proprio in quei giorni, ma di chi, come me, se ne stava mediamente comodo a migliaia di chilometri di distanza, con un oceano di mezzo. È certamente sintomatico di quanto ciò che accaduto riguardi da vicino ognuno di noi e non tanto per le conseguenze immaginate allora o viste in atto in questi dieci anni. Mi stupisce, a questo proposito, una celebre foto di Thomas Hoepker che immortala alcuni ragazzi newyorkesi impegnati in spensierate chiacchiere mentre, sullo fondo, fumano le Torri Gemelle in fiamme. A stupirmi non è la reazione di apparente noncuranza di fronte alla tragedia dei giovani ritratti, visto che ognuno reagisce in modo diverso allo sgomento e l’oblio non è certo tra le più ignobili delle possibilità. Ciò che mi stupisce è il fatto che io, in quel giorno, al sicuro dalla parte indenne dell’oceano, nello stesso istante, stavo contattando i membri della mia famiglia per assicurarmi stessero bene e sentivo crescere in me una voglia incontrollata di tornarmene al più presto a casa, per stringermi a loro. Una necessità di protezione domestica, di stringersi intorno alla tragedia, che non avevo mai provato e che mai avrei sperimentato dopo. Entrambe le torri sono state colpite e l’incendio è stato innescato trasformandole in due enormi torce… Il problema di scrivere qualcosa sull’“11 settembre” è che il rischio di essere retorici è stellare. Perfino dire che si è preoccupati di essere retorici, suona retorico… Da parte nostra, l’unica cosa che potevamo fare era far parlare un’immagine e, nella scelta, confesso di esser stato fortemente condizionato da un episodio di qualche anno fa. Conversando con un importante gallerista della provincia varesina – personaggio chiave per comprendere alcuni passaggi dell’opera di Ennio Morlotti, del cosiddetto gruppo di Corrente, e non solo – si fece largo, tra i ricordi dell’ottuagenario, un commento ad un’arte contemporanea ormai incredibilmente distante dalla sua. Gianluigi Rebesco mi sorprese con una sentenza non scontata: «Anche Cattelan e tutti gli altri, sì… bravi, bravissimi, ma vede, professore, dopo quello che ci hanno fatto vedere l’11 settembre, chi pensano di sconvolgere? Cosa sperano di fare? Cosa possono aggiungere a quell’immagine?» Mi è parso chiaro allora, non solo che si può invecchiare e difendere la verità dei propri amori figurativi senza chiudersi nel proprio mondo nostalgico ed evitare un confronto reale col presente, ma che l’arte, e la pittura in particolare, aveva un nuovo termine di confronto con il quale dover fare i conti. Un’immagine imbarazzante, forse utile a sgonfiare prosopopee e sbornie, alla mattina di tante copertine e vendite a molti zeri. Tra le tante opere che possono aver risentito o fatto i conti con ciò che è accaduto quel giorno di dieci anni fa, ne scegliamo una che ha affrontato direttamente l’“11 settembre”. Perché, per nostra fortuna, negli stessi minuti in cui io desideravo rintanarmi e quei ragazzi far finta di niente, il tedesco Gerhard Richter, certamente il più importante pittore vivente, immagazzinava per sé un’immagine destinata a sedimentare qualche anno, ma che avrebbe dato vita a questo straordinario dipinto, ora al MoMa di New York. Richter è uno dei pochissimi grandi artisti che ha preso il toro per le corna, decidendo di dipingere uno dei frame del disastro, uno degli interminabili istanti prima del crollo, un’immagine che la televisione e la carta stampata hanno impresso nella nostra memoria. Richter non ha preso alcuna scorciatoia e ha usato quel fotogramma trasfigurandolo con la sua pittura. Occorre coraggio per confrontarsi così direttamente con l’immagine collettivamente più nota e impressionante a livello mondiale, un’immagine che, volente o nolente, è nella coda dell’occhio di ogni artista chiamato a raffigurare il dolore e lo sconcerto. Non esiste soggetto contemporaneo più universale di questo, Crocifissione a parte, naturalmente, e anche questo, vorrà dire qualcosa… È l’equilibrio perfetto tra dramma e leggerezza a rendere così affascinante questo quadro. Mi sembra che ogni punto del dipinto suoni contemporaneamente le note del dramma e della libertà. Se vista da vicino, tutta la superficie del cielo risplende di scaglie d’argento. Le torri, proprio nel momento della loro maggior debolezza, diventano degli splendidi reliquiari. Il cielo trapuntato di luce pare poter accogliere, in un abbraccio di brezza, i disperati costretti al folle volo dal caldo insopportabile delle torri in fiamme. Ad accarezzare ciascuno di loro, una pennellata di quell’argento, posta ad accompagnarli nel loro viaggio.

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