Rinascimento ticinese. 4 La Madonna di Ravecchia

Scrivere di questa bella pala di Domenico Pezzi non può per me prescindere da ricordarne la collocazione e ambientazione. Ogniqualvolta mi sia capitato di entrare nella bellissima chiesa medioevale di San Biagio a Ravecchia, nel livore della pietra grigia, sotto la severità del soffitto ligneo, elargita la dovuta attenzione ai superbi affreschi del presbiterio, mi ha sempre sorpreso  la collocazione, certo anti-malaintenzionati, di questa Madonna con il Bambino tra i Santi Biagio e Gerolamo. Avulsa da ogni contesto, è appesa molto in alto sulla parete della navata sinistra e galleggia nella penombra, brillando dei suoi sfavillanti colori più di una vetrata colpita dai raggi di un sole diretto. Superato il senso di estraneità, ma anche d’incanto e gratitudine per quella scheggia d’iride che sembra atterrata da un altro pianeta, ti chiedi che effetto facesse un tempo, quando era collocata sull’altare maggiore della stessa chiesa di San Biagio vegliata dagli affreschi del XIV e XV secolo, corredata da due ante dipinte e completata da una predella e una lunetta ora disperse. Stravolgimenti probabilmente determinati dal fatto che San Biagio è una di quelle numerose chiese che tra l’Otto e il Novecento è stata raschiata di tutte le decorazioni Seicentesche e Neoclassiche, ma anche di marmi e stucchi precedenti, allo scopo di riportarne alla luce la struttura medioevale, finendo per travolgere anche le opere cinquecentesche. Scempi che oggi non si farebbero più e che venivano giustificati da parole simili a quelle dell’artefice del “ripristino” operato a San Biagio negli anni 10 del ’900, Edoardo Berta, che si dichiarava spinto dalla necessità di recuperare “una genuina espressione del senso mistico dominante in un’epoca in cui la religione era così pura e sentita”. Astenendoci dal fare considerazioni sulla purezza o meno della religione oggi, ci limitiamo a consigliare di non perdersi, in mostra, l’incontro con la tavola del Pezzi – autore di importanti affreschi a Morcote e Monte Carasso ma anche attivo in Lombardia e Liguria – un incontro diretto, ravvicinato, da fare prima che ritorni alla sua altezza proibitiva. Il visitatore potrà scoprire così un pittore non eccelso, un po’ debole nella figura umana dalla testa piatta e nel raffigurare un leone simile ad una talpa, ma anche capace di un’attenzione naturalistica particolare, molto coinvolgente, qui espressa nel fico e nel limone che incorniciano i santi, ma anche nell’incanto del paesaggio ai piedi della Vergine, steso dietro al Martin pescatore, appoggiato al ramo con il cartiglio firmato e datato, e aperto nelle malinconiche acque del lago che lambisce le rovine di una basilica, a sua volta circondata da abitazioni “alla romana”, anfiteatro incluso.

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