I Torriani a Mendrisio: un modello da perseguire

Il padre, il figlio e tre amici più bravi. La storia che va in scena è quella di Francesco Torriani (1612-1683) e del figlio Francesco Innocenzo (1648-1700); insieme abbracciano un secolo d’attività che ha il suo epicentro nella cittadina di nascita, la stessa Mendrisio, irradiandosi in Lombardia e assicurando non pochi dipinti in tutta Europa. Molto scarsi i documenti sulla vita di entrambi e debole la loro fortuna letteraria se paragonata a quella dei dipinti. Francesco è ricordato come allievo di Guido Reni ed è promotore di un gusto classicista in Ticino, Innocenzo, formatosi nella bottega paterna, dimostra un fresco aggiornamento milanese che, in particolare con il Vermiglio, presenta consonanze considerevoli. Non si può nascondere la debolezza di Francesco che, proprio nel confronto con il figlio si dimostra pittore dalle non grandissime doti, spesso impacciato nel disegno ed estraneo a invenzioni formali o compositive di grande originalità. Tutt’altra storia quella del figlio Innocenzo che emerge come un importante esponente, fin qui trascurato, del Seicento Lombardo, capace di grandi impaginazioni, un ottimo disegno e sapienza cromatica. Una disparità che forse avrebbe permesso di rinunciare a qualche debole opera di Francesco in favore di quelle del grande Innocenzo, anche alla luce del vero punto di forza della mostra, frutto della serietà e competenza delle due curatrici, note per un curriculum di grandi studiose del seicento ticinese, dai numerosi meriti per la storia dell’arte del territorio.

Aver ricostruito in mostra e, ancor più riccamente in catalogo (sebbene con foto impaginate decisamente troppo piccole) la produzione di questi artisti dalla grande diffusione europea, permetterà infatti di assegnare alla loro mano moltissimi dipinti finora nascosti sotto la generica attribuzione: “Pittore lombardo del XVII secolo” e che finalmente troveranno la loro collocazione storica, andando ad arricchire il catalogo dei due pittori e la nostra conoscenza.

Non mancano in mostra opportuni confronti con dipinti di grandissimo livello qualitativo eseguiti da altri artisti e utilissimi per comprendere cultura e scelte stilistiche dei Torriani. È il caso del felicissimo e ancora ignoto Maestro della Natività di Mendrisio, di cui è presentato un nucleo importante di dipinti che fa rimpiangere la presenza in mostra di due importanti acquisizioni presentate in catalogo: la Santa Margherita e il drago dell’anonimo maestro e una copia della Natività dalla quale prende il nome, eseguita proprio da Francesco Torriani. Se il Maestro della Natività apre la mostra, giunti a metà delle opere di Francesco un rumore sordo e profondo distoglie il nostro sguardo dai quadri: la grande pendola che rompe il silenzio assoluto del Museo di Mendrisio annuncia un’altra sorpresa. Sulla parete opposta irrompono infatti sei inedite tavolette di rame, esemplari del ciclo di Misteri del Rosario dipinti da Giovan Battista Discepoli per la chiesa di Cabbio: che freschezza di invenzione, libertà di segno e capacità di resa immediata degli stati d’animo! Opere nodali la cui importanza è ricostruita magistralmente da Francesco Frangi nella scheda in catalogo (purtroppo lesa da una ripetizione di un intero blocco di testo): una lezione di critica d’arte, fondamentale quanto un lungo saggio. Prima della felicissima cavalcata cromatica del grande Innocenzo, premessa dalle opere di collaborazione tra padre e figlio (tra cui il David con la testa di Golia infelicemente scelto come manifesto della mostra) non si può dimenticare un altro grande regalo fatto al visitatore: lo splendido Sant’Antonio con il Bambino di Faido dipinto da Carlo Francesco Nuvolone dove una fragranza di sentimenti sboccia tra terra e luce.

È questa la strada da seguire

Questa sì che è una mostra. Recensendo l’esposizione milanese sui Caravaggeschi a Palazzo Reale (cfr. 17 dicembre 2005) c’eravamo permessi una considerazione sullo sputtanamento del sistema delle mostre, non solo in Italia, che produce esposizioni-evento, espressione di uno scarso avanzamento di studi, e rinunciando ad un’educazione del pubblico. Parlare della mostra sui due Torriani al Museo d’Arte di Mendrisio ci permette di esemplificare, questa volta in positivo, quanto possa essere utile una mostra quando si riappropria della sua funzione. Nel 1973 a Palazzo Reale di Milano andava in scena una delle più importanti mostre mai realizzate in Italia: “Il Seicento lombardo”. Dopo due decenni di articoli, saggi, ricostruzioni critiche, mostre monografiche, operate da Roberto Longhi e dai suoi allievi (in testa Giovanni Testori e Mina Gregori) si faceva il punto su uno dei momenti più affascinanti del Seicento Europeo, quando durante, e in seguito, alla parabola straordinaria di un altro lombardo, Caravaggio, si era creato uno stile variegato ma identificabile e di altissimo livello che accomunava artisti attivi, oltre che nell’attuale Lombardia, in parte del Piemonte e in Ticino. Malgrado il titolo lasciasse pensare ad una trattazione di un intero secolo, l’arco cronologico considerato erano grossomodo una cinquantina d’anni, compresi tra due date non solo simboliche: la morte di San Carlo Borromeo (1584) e la grande peste milanese del 1630. La scelta allora era più che giustificata dalla straordinarietà di quella scuola pittorica, di un momento storico ben identificabile che richiedeva una trattazione autonoma, ma lasciava inesplorato lo sviluppo barocco dei restanti settant’anni del Secolo. Se ancora nel 1989, in occasione della grande mostra su uno dei protagonisti del Seicento, il ticinese Pier Francesco Mola, organizzata al Museo Cantonale d’Arte di Lugano e a Roma, si segnalava una carenza complessiva di studi e pubblicazioni, negli ultimi anni le cose stanno cambiando e si assiste a una felice fioritura di ricerche che hanno il loro vertice nella bellissima collana “Artisti dei laghi”, volumi dedicati alle grandi famiglie di artisti ticinesi, e in alcune preziosissime mostre monografiche dedicate a Paolo Pagani (Pinacoteca Züst di Rancate e Galleria Civica di Campione, 1998), a Giuseppe Vermiglio (Campione, 2000), a Giovan Battista Discepoli (Rancate, 2001), a Isidoro Bianchi (Campione, 2003) e a Carpoforo Tencalla, allestita l’anno scorso alla Züst. Mostre frutto di anni di ricerche in archivio, compiute da studiosi molto preparati che dedicano tutta la vita a questi problemi critici, portando alla luce, in forme comprensibili e apprezzabili dal grande pubblico, geni nascosti delle nostre terre. La mostra dei Torriani è l’ultima tappa di questo filone virtuoso e aggiunge un tassello importantissimo a questa riscoperta critica, inserendo il Museo d’Arte di Mendrisio in un circuito di eccellenza che ci auguriamo lo veda ancora protagonista.

Scarica l’articolo in PDF

Leave a Reply